di Jonathan Misrachi
È un evento storico quello avvenuto il 10 marzo nell’edificio di via Senato dove si trova l’Archivio di Stato milanese per la prima esibizione di un’ampia e varia documentazione conservata dalla Prefettura e dal Ministero dell’Interno riguardante gli ebrei nel periodo fra l’emanazione delle leggi razziali e la fine della seconda guerra mondiale.
Solo settant’anni dopo questa oscura pagina della storia italiana sono stati messi a disposizione di studiosi e cittadini (consultabili, ma non pubblicabili) grazie alla scadenza dell’obbligo di riservatezza. Per l’occasione, presente il Ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini che ha sottolineato l’importanza della raccolta di questi documenti per conservare la memoria, in un’era in cui la digitalizzazione sta sconvolgendo l’archivistica.
Hanno portato anche saluti istituzionali e ringraziamenti il prefetto Alessandro Marangoni e l’assessore comunale alla cultura Filippo Del Corno. Alla presentazione moderata da Benedetto Luigi Compagnoni (Direttore dell’Archivio di Stato di Milano) sono intervenuti Maurizio Savoja (Sovrintendente archivistico per la Lombardia), Ezio Barbieri (docente dell’Università degli Studi di Pavia) e Alba Osimo (Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Milano).
Numerose le documentazioni rivelate e raccontate durante la serata, fra le quali alcune caratterizzate di interessanti e particolari connotati storici; come la lettera scritta dall’ebrea triestina Alice Weiss alla moglie del Prefetto Marzani richiedente la concessione di una discriminazione dalle leggi razziali appena promulgate, argomentando la richiesta con la frase conclusiva “la brava gente è tale in tutte le razze!”.
Si è di fronte alla “banalità del bene”, sostiene il direttore Luigi Compagnoni. La richiesta verrà respinta ma l’ebrea triestina sopravviverà. Fascicoli personali, divieti d’attività, documenti di tentati espatri clandestini in Svizzera, provvedimenti, verbali e atti notarili ai quali Michele Sarfatti (direttore del CDEC) aveva cercato di accedere sin dagli inizi degli anni Ottanta, racconta durante il suo intervento: “Milano, città particolarmente proiettata al futuro, fa più fatica di città come Roma, Firenze, Venezia e Torino a gestire il passato, per questo motivo ritengo che l’apertura sia arrivata troppo tardi, anche se mi complimento con tutti esser riusciti a estrarli ora”.
A seguire il comunicato stampa dell’Archivio di Stato milanese.