di Michael Soncin
“Una notizia falsa può essere una notizia parzialmente vera, ed è perciò ancor più falsa perché trae maggiormente in inganno; omettendo o ingigantendo un particolare si finisce col cambiarne la percezione”.
È quanto ha affermato Rav Alfonso Arbib, durante la conferenza tenutasi domenica 10 maggio su Zoom dal titolo Fake News – Tecniche e Obiettivi, organizzato dalla Comunità Ebraica di Milano, con l’introduzione di Paola Hazan Boccia di Kesher, che ha visto come ospiti Daniel Fishman, scrittore ed esperto di comunicazione e di Alessandro Orlowski personaggio eclettico e regista di numerosi spot pubblicitari, di cui recentemente si è spesso parlato per aver mostrato come gli account di alcuni personaggi politici siano pieni di falsi profili che diffondono fake news.
“Il problema nel dire la verità – dichiara Rav Arbib – è un problema che risale al passato, molto spesso diciamo cose approssimative che tendono ad essere false, bisogna tentare di essere sempre vicini alla verità, poiché fare l’opposto rappresenta un divieto nella tradizione ebraica, noi dobbiamo allontanarsi da tutto ciò che è falso”. Rav Arbib spiega che è difficile dire la verità completa, “perché per farlo bisogna essere molto precisi e attenti a come ci si espone, motivo per il quale noi tutti dobbiamo prestare cautela a non dare notizie approssimative.
Alla conferenza erano presenti il Presidente della CEM Milo Hasbani e le assessori Pia Masnini Jarach e Olympia Foà.
“Le fake news – dice Pia Masnini – nascono perché hanno degli obiettivi da colpire, a differenza d’oggi una volta ci mettevano più tempo per diffondersi e provocare danni, basti pensare ad una gigantesca fake news come I protocolli dei Savi di Sion, con diffusione talmente radicale da diventare una propaganda nazi-fascista”.
Il Sinedrio, antidoto contro le fake news
Daniel Fishman considera i social media come dei mezzi con poca etica ebraica, specificando che nella comunicazione umana niente è più forte di un contatto visivo ma che dovendo raggiungere un pubblico più ambio dobbiamo necessariamente rivolgerci a loro.
Parlando di etica ebraica cita il Sinedrio – l’assemblea, in ebraico סנהדרין Sanhedrin – che aveva la funzione in passato a Gerusalemme di emanare le leggi. A forma di mezzaluna, era formato da 71 membri, un numero dispari che egli sottolinea essere significativo poiché pone di arrivare a certe considerazioni.
“Le opinioni del sinedrio venivano discusse tra tutti, in quanto anche le idee della minoranza venivano considerate, nei social media invece si da più importanza alla qualità che alla quantità; in ambito accademico, quando uno si laurea per diventare rabbino deve dimostrare di portare un apporto, nei social media questo non accade, ognuno può appropriarsi della cose altrui, finendo molto spesso col sentirsi onnisciente”.
Fishman fa riflettere sulla diffusione delle fake news in relazione ai motori di ricerca, poiché mettono in cima le notizie più cliccate, non le più vere.
“Nella scienza la presentazione di una tesi deve essere basata sulle fonti, stessa cosa quando facciamo studi ebraici dobbiamo citare saggi e testi di chi si è espresso, mentre nei social media vi è un copia e incolla e le fonti non hanno importanza”.
Dalle sue parole emerge che in questi canali comunicativi si tende a diventare conformisti, a circondarci con persone che formano gruppi omogenei che attaccano gli altri dove un confronto d’idee è presente, ma senza nessun vero dibattito, con un’assenza di etica del dialogo, senza la capacità di aprirsi con persone diverse da noi, aspetto invece caratterizzante dell’ebraismo.
“A Kippur – prosegue Fishman – il perdono che per lo più chiediamo è per il peccato di parola, nell’etica ebraica vige il principio di parlare dell’altro come fosse davanti a noi, questo ci aiuta a ragionare nella forma e nei contenuti”.
Inoltre lo studioso sottolinea che nei social è tutto troppo rapido le persone leggono e rispondono senza ponderare bene le cose prima di dirle.
“I social devono essere regolati da senso civico, come nel kibbutz che fa si che tra noi ci si possa autoregolare, io non posso fare una cosa a scapito di un altro”, afferma.
Come difendersi dalla disinformazione
Per Alex Orlowski i social rappresentarono all’inizio un fantastico momento di libertà, come quando nel 2005 nacque Youtube, per poi invece trasformarsi da mezzo di espressione e libertà a mezzo d’oppressione “Con i cellulari si è danneggiata la democrazia, venendo a mancare la netiquette, poiché il sistema non ha fatto da filtro culturale ed educativo, prima non ci si insultava su internet, com’è oggi diventato consueto”.
Leggiamo gli articoli che condividiamo? Di solito chi condivide un numero maggior di articoli, è lo stesso che non li legge o lo fa parzialmente.
Le fake news generano disinformazione, è un dato di fatto: Orlowski a tale proposito illustra le categorie del “Disturbo dell’informazione”, in inglese “Information disorder”, dando così degli spunti su come difendersi da essi.
“Quando si parla delle fake news – precisa – bisogna capire se si parla di contenuti inventati o manipolati, stando attenti ai siti che sembrano fonti autorevoli, ma che in realtà non lo sono, poiché hanno nomi esplicitamente ingannevoli, molto simili alle fonti ufficiali e rimangono sul web un mese e poi spariscono autonomamente con l’unico scopo di creare false notizie”.
Che differenza c’è invece tra Mis-informazione e Mal-informazione?
“La misinformazione riguarda errori non intenzionali, ad esempio quando la satira viene presa seriamente per errore; la malinformazione riguarda invece la pubblicazione intenzionale di contenuti privati, con la volontà di recare danno”. C’è infine la disinformazione spesso caratterizzata da una grave inesattezza del contenuto, intenzionalmente fuorviante.
Orlowski, chiamato anche “Nazi Hunter” sa bene che il web è pieno di fake news contro gli ebrei, come la colpa di aver scatenato la pandemia da covid-19, genere di falsità presenti già nel passato parlando in tema di pestilenze.
Ci parla infine di numerosi utenti i quali si definiscono fascisti ma che in realtà sono veri e propri nazisti, una rete sparsa in tutto il mondo, Italia compresa, che coopera autofinanziandosi, “non stupiamoci poi se fanno gli attentati alle sinagoghe e hanno i fondi e i mezzi per farlo”.
Sono persone negazioniste, “pensano che la Shoah non sia mai esistita e che Hitler fosse una persona dolce”, non comunicano solo sulla rete ma organizzano veri e propri incontri tra gruppi di nazionalità diverse, indossando capi d’abbigliamento per individuarsi e cooperando con codici precisi. La cosa che stupisce ascoltandolo è che questa è solo la punta dell’iceberg. “Il prossimo problema sarà il terrorismo interno di estrema destra” conlcude.