di Roberto Zadik
Una pagina storica, estremamente tragica e valorosa, è quella della rivolta degli ebrei della capitale polacca che per un mese, dal 19 aprile al 16 maggio 1943, sfidarono la ferocia nazista venendo alla fine sopraffatti da essa. A memoria di questi accadimenti, con ventuno immagini inedite scattate dal pompiere polacco Leszek Grzywaczewski e rinvenute da suo figlio, da martedì 18 aprile 2023 fino all’8 gennaio 2024, si terrà la mostra Attorno a noi un mare di fuoco, al Museo degli ebrei polacchi di Varsavia, il Polin Museum.
Stando a quanto afferma il sito del Museo, polin.pl, la mostra racconta “quel mese in cui alcuni ebrei si nascosero nei bunker e in vari nascondigli, sfuggendo alle operazioni di deportazione ed omicidi di massa e la loro fuga fu importante come il combattimento armato degli abitanti del ghetto contro i nazisti”. Una notizia interessante che, già da metà gennaio, era stata riportata da vari siti, da Repubblica a The Guardian fino alla Svizzera italiana sul sito ticinonews.ch.
Concentrandosi sulle immagini dell’esposizione proprio The Guardian sottolinea il coraggio del pompiere “fotografo” che corse rischi inimmaginabili per scattare quelle immagini. Nonostante la qualità amatoriale delle foto, secondo gli storici esse sono di fondamentale rilevanza perché forniscono l’unica testimonianza alternativa alle foto realizzate dall’esercito nazista. Infatti, fino ad ora erano reperibili solo le immagini del cosiddetto Stroop Report, una cinquantina di scatti, messi a punto dal generale delle SS Jurgen Stroop, per ordine del suo capo, il temibile gerarca Heinrich Himmler.
Come ha puntualizzato la curatrice della mostra Zuzanna Schnepf Kolacs “la nostra idea è quella di fornire il punto di vista ebraico contrastando la visione dei fatti distorta delle foto della propaganda nazista”. La ricerca del materiale è stata tutt’altro che semplice. La curatrice ha cominciato a cercare quel pompiere, già dal 1992, scoprendo però che era già morto. Così riuscì a mettersi in contatto col figlio Macej che, nonostante sapesse che suo padre era stato inviato a spegnere l’incendio appiccato dai nazisti nel Ghetto per sedare la rivolta, non sapeva niente di queste immagini. Successivamente, dopo un meticoloso lavoro di ricerca a casa del padre e della sorella, fra i vari scatoloni trovò una trentina di foto di quanto accaduto nel Ghetto.
Costruito nel 1940, era uno dei più grandi d’Europa, e raccoglieva circa mezzo milione di ebrei costretti a vivere ammassati in uno spazio molto ristretto e in pessime condizioni. Dal 1942 iniziarono le deportazioni e duecentosessantamila ebrei vennero deportati nel campo di sterminio di Treblinka, mentre i rimanenti preparavano armi ed esplosivi per l’imminente rivolta. Per scattare quelle foto, il pompiere dette anche lui prova di eroismo, passando quattro settimane nel Ghetto cercando di spegnere gli incendi, appiccati dai nazisti e tenendo un diario che venne ritrovato solo dopo la sua morte.
“Le immagini di quelle persone devastate mi accompagneranno per il resto della mia vita” scriveva in quelle pagine “sagome sporche, affamate e lacere, con i corpi di quelli ancora vivi che cadono su quelli di chi è già morto”. Parole e immagini ancora oggi impressionanti che, come evidenzia il sito del Polin Museum, “riscrivono il capitolo di storia accaduto qui a Varsavia proprio dove ora sorge il Museo”. Non solo immagini, ma anche diari, testimonianze e musiche, composte dal musicista Pawel Mykietyn,”affinché”, come dice il sito del Museo, “tu non sia indifferente a quanto accaduto”.