di Ilaria Myr
“Milano oggi fa qualcosa che avrebbe dovuto fare prima. Oggi comincia a rimediare, con la posa di questa prima pietra, a cui ne seguiranno altre nel pomeriggio. Perché Milano vuole essere la città della Memoria”. Queste le parole del Sindaco di Milano Giuseppe Sala durante la cerimonia di posa della prima pietra di inciampo a Milano, in corso Magenta 55, davanti alla casa dove viveva Liliana Segre con suo padre e i suoi nonni. Davanti a una folla accorsa per l’evento, l’artista tedesco Gunther Demnig, ideatore delle pietre di inciampo, ha interrato quella dedicata ad Alberto Segre, padre di Liliana morto ad Auschwitz.
“È bello vedere oggi così tanta gente – ha continuato il sindaco -. Speriamo che questa attenzione rimanga, che non si fermi a oggi. A volte mi preoccupa un po’ vedere che i ragazzi sono proiettati sempre al presente che al futuro. La memoria è qualcosa di fondamentale anche per vivere bene il presente e il futuro”.
“Fino a oggi i miei parenti, così come gli 896 ebrei milanesi morti ad Auschwitz non avevano una tomba. Oggi hanno almeno questa pietra”. Così Liliana Segre ha parlato accanto al sindaco Sala, visibilmente emozionata.
“Mi ha colto come una mancanza terribile di tutta la comunità ebraica di Milano e anche delle varie associazioni che si sono riunite sotto la mia presidenza il fatto che non ci abbiamo pensato prima – ha continuato parlando ai giornalisti (vedi il video sulla pagina Facebook di Mosaico) -.Questo è un errore comune grave perché ogni anno che passa queste cose sembrano più lontane. Per i ragazzi di oggi, che non hanno un insegnamento storico profondo – perché sappiamo che oggi conta solo l’oggi e il domani – questi fatti si sono allontanati nel tempo. Qui davanti a questo portone ci dovrebbero essere tre pietre: una per mio padre e due per i miei nonni, che saranno posate in seguito. È un’impressione forte, è cominciare ad avere un punto su cui fermarci, visto che io non ho una tomba per mio padre che è stato assassinato per la colpa di essere nato. Io vivevo privilegiata, una bambina viziata amatissima, una principessa, di colpo passata dalla piccola reggia calda d’amore, dalla ‘tiepida casa’ come dice Primo Levi, all’inferno di Auschwitz.
Io oggi ho 86 anni, sono nonna felice di 3 nipoti, ho conosciuto l’amore dopo tanto odio e tanta morte, per arrivare a diventare madre di un figlio, Alberto, come mio padre. Mi ricordo di quel papà che ho perso a 13 anni: eravamo coppia particolare, la mamma era morta, il papà che faceva il papà e la mamma, dolcissimo, con un impegno che lo portava a negarsi – lui che aveva 31 anni quando è rimasto vedovo – un futuro, farsi una famiglia e ha deciso di dedicarsi totalmente a te. Eravamo un duo particolare, papà grande e alto, e una bambina. Per mano siamo arrivati fino ad Auschwitz, ma là le mani sono stata divise per sempre”.
È la prima volta che torna davanti alla sua casa?
“Non è la prima volta che torno qui, sono passata davanti a questa casa migliaia di volte, anche perché io ho sempre abitato da queste parti, ma non ho avuto mai il coraggio di guardare su, verso quella camera, quelle finestre, che furono chiuse, quando io tornai dal lager miracolosamente viva e per prima cosa tornai qui alla ricerca di qualcosa che sperai di non avere perduto del tutto. Entrai insieme ad un’altra sopravvissuta: il portinaio mi vide dopo due anni. Nessuno sapeva nulla di noi: nessuno si era mai interessato di sapere cosa era successo ai Segre che abitavano al terzo piano. Il portinaio non mi riconobbe e mi scacciò pensando che fossi una questuante, una qualunque disgraziata come in effetti ero. Quando io gridai “ma io sono Liliana Segre, abitavo al terzo piano!” scesero tutti gli inquilini, tutti urlavano come una cosa miracolosa che appariva: questa vecchia ragazza, perché sì avevo 14 anni ma ero vecchia, ero diventata vecchissima, centenaria, millennaria, avevo visto tutto il peggio del mondo.e questo si rifletteva nella mia persona, nel mio sguardo nel mio essere disgraziata.
Vennero i miei zii che si erano salvati a prendermi. Cominciai il dopo-lager che fu molto difficile: ero un animale ferito e loro non erano capaci di affrontare questa ferita. Ci vollero molti anni perché guarisse”.
Alla quinta primaria della scuola: “Ero una bambina come voi”
Come una nonna affettuosa ha poi parlato alla classe quinta della primaria della Scuola ebraica della Comunità, accompagnata dalla morà Diana Segre, a cui ha raccontato il suo vissuto di bambina. «Avevo 10 anni come voi quando fui cacciata dalla scuola pubblica perché ebrea – ha raccontato ai bambini attentissimi -. Ero giovane ma ero già consapevole che stavano succedendo cose molto gravi e brutte. La situazione peggiorò sempre di più e io mio padre lasciammo l’Italia e cercammo di scappare in Svizzera, ma lì non accettavano più profughi e ci rimandarono indietro dai tedeschi. Cosa successe dopo? Avete il tempo di impararlo».