di Ester Moscati e Paolo Castellano
«Il Talmud è stato bruciato, in Europa, ma anche letto e apprezzato; verso il Talmud nel corso dei secoli c’è stato lo stesso atteggiamento riservato agli ebrei. L’importanza del Talmud? Essere un testo che da duemila anni offre dignità anche alle opinioni di minoranza». Così Davide Romano, assessore alla cultura della Comunità, ha introdotto il pomeriggio di incontri e riflessioni Noi e il Talmud, domenica 20 novembre presso la Sinagoga centrale di via Guastalla, organizzato nell’ambito di Bookcity, l’evento milanese dedicato ai libri.
Organizzato dalla Giuntina, la Casa editrice fiorentina che ha pubblicato la Traduzione italiana del Talmud, trattato Rosh Hashanà, ha visto la partecipazione di Rav Alfonso Arbib, Rav Roberto Della Rocca, Massimo Giuliani, Clelia Piperno e Alberto Melloni. Shulim Vogelman, editore di Giuntina, ha spiegato la genesi del colossale progetto di traduzione, nato da un’idea di Clelia Piperno, che coinvolge 80 traduttori in contemporanea, per una traduzione sia letterale sia commentata. Un’opera che proseguirà per molti anni a venire.
Il primo intervento, di Massimo Giuliani, docente di pensiero ebraico, verteva sul concetto di giustizia. «La regola d’oro di Hillel “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, di cui leggiamo nel Talmud, è davvero tutta la Torà? Il Talmud propone un’etica particolare, solo per gli ebrei, oppure un’etica universale, valida per tutti gli uomini e le donne?». Il relatore si è soffermato sull’atteggiamento di Hillel e Shammai di fronte al proselita che pretende che gli sia insegnata la Torà “stando su un piede solo”. Shammai lo caccia, brandendo una verga, senza una parola, passando alla storia come il Rabbino rigido, che “esclude”, mentre Hillel gli risponde “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Il resto è commento. Va’ e studia”. In realtà, dice Giuliani, la risposta di Hillel è ironica. «L’etica che esprime è generica e universale, non contiene certo tutta la Torà, che è racchiusa invece nel “Va’ e studia”. Shammai non proferisce verbo ma la verga che gli mostra è un regolo, strumento di misura, canone. Senza parlare, “stando su un piede solo”, gli insegna tutta la Torà, cioè che la Torà è la misura del Mondo, per la comprensione e la costruzione, il manuale d’uso corretto del Mondo visto con gli occhi di Dio. È una grande risposta simbolica».
Clelia Piperno ha dato i numeri e l’essenza del progetto di traduzione del Talmud: «Circa 100 persone coinvolte. Una lettura rispetto alla quale anche il mondo ebraico deve fare uno sforzo di elaborazione. È un’opera destinata a incidere nella cultura italiana e lo Stato Italiano ha finanziato questo progetto. Abbiamo stampato 10.000 copie, vendute 8.000 quindi più delle famiglie ebraiche. Chi lo ha comprato e perché? Abbiamo lanciato una sfida ed è stata raccolta. La Shoah ha privato per decenni l’Europa della capacità di produrre cultura ebraica. Questo progetto, che coinvolge 80 traduttori e il software Traduco, fa ripartire la cultura ebraica in Europa con un esito assolutamente originale». E Alberto Melloni: «Il progetto chiude lunghe parabole della nostra storia e cambia paradigmi. È un atto che dilegua l’ultima ombra del deserto morale nazifascista. Con questa traduzione dimostriamo di volere capire che la pace e la libertà hanno bisogno del Sapere, onorato e non incenerito. Il progetto chiude la dimensione denigratoria dell’ebraismo, in cui si traduceva il Talmud per ripudiarlo.
Bookcity in Sinagoga centrale. Gli interventi di rav Arbib e rav Della Rocca
L’edizione di Bookcity 2016 è stata un trionfo. Gli organizzatori della kermesse culturale milanese hanno rilevato un incremento di presenze del 20% rispetto al 2015. Anche gli eventi sulla cultura ebraica hanno avuto molto seguito, in particolare gli incontri sul Talmud che si sono svolti il 20 novembre presso la Sinagoga Centrale. Non solo della nuova edizione del Talmud si è parlato ma anche di tre altre pubblicazioni: La solitudine dell’uomo di fede di Y. D. Solovetchik di Belforte Editore e Con lo sguardo alla luna di rav Roberto Della Rocca e La giustizia seguirai di Massimo Giuliani di Giuntina.
Rav Arbib ha tracciato, seppur brevemente, un esaustivo identikit culturale e professionale del celebre rabbino Solovetchik. Egli ha illustrato al numeroso pubblico i motivi per cui Belforte Editore abbia fatto un’ottima scelta nel pubblicarlo. Innanzitutto Arbib ha fatto notare che le opere di Solovetchik sono state pubblicate in inglese (tutte) e in ebraico (quasi tutte). Per la prima volta tradotto in italiano La solitudine dell’uomo di fede è un testo che racchiude alcune riflessioni sull’ebraismo sotto forma di pensieri sparsi. Perché la pubblicazione è degna di essere letta e soprattutto chi era Solovetchik?
«Nell’ebraismo americano Solovetchik è stato una figura molto importante. Molti lo accostano alla neo-ortodossia, ma tale definizione ha poco significato. Egli è stato un esponente e un discendente di una grande dinastia rabbinica. È ovvio che non si diventi rabbini per eredità, ma è del tutto innegabile che nel mondo ebraico ci siano molti rabbini col suo stesso cognome. Joseph Soloveitchik discende dunque dalla famiglia bielorussa dei Brisker e suo nonno è stato un importante studioso di Talmud e di Halakhà. L’autore inoltre è stato un rabbino filosofo influenzato dalla tradizione polacco-russa. Nei suoi manoscritti ripetutamente sono presenti parecchi elementi filosofici».
Arbib ha poi aggiunto: «Nel Talmud ci sono passi molto specifici e altri molto universali: tale concezione è la divisione classica attuata dai pensatori moderni. Ad esempio, lo psicologo americano Erich Fromm nell’introduzione di Voi sarete come dei individua due caratteristiche dell’ebraismo: Haggadah e Halakhà. C’è la parte del pensiero/racconto e quella della normativa: per noi è moderna la sezione di Haggadah, poco interessante l’altra. Questa divisione però rischia di non farci capire bene che cosa sia l’ebraismo. Nella cultura ebraica l’Halakhà è fondamentale, se non consideriamo questa non entriamo nel mondo ebraico.
A Solovetchik ci si rivolgeva per comprendere le norme da seguire ed egli scriveva anche dei responsa halakhici. Il suo libro è incentrato su un tema filosofico che affronta la questione dell’uomo di fede e in cui non solo troviamo le sue riflessioni ma anche delle indicazioni halakiche. Profonda inoltre è la sua analisi dei passi della Torah dedicati alla creazione del mondo e dell’uomo».
Rav Arbib allora ha esposto all’uditorio i due racconti della creazione presenti nel testo sacro: «I due racconti parlano di due uomini diversi. Il primo narra di un essere umano che contiene dentro di sé sia il genere maschile che quello femminile e che ha il compito di moltiplicarsi e di conquistare il mondo dominando la natura.
Il secondo passo narra invece che D-o generò l’uomo dalla polvere e dalla terra animandolo con lo spirito divino. Questo essere umano è solitario rispetto a quello citato nell’altro passo della Genesi. Per Solovetchik infatti ci sono due tipi di uomo che possono o non possono convivere nell’essere umano. La prima tipologia di individuo è l’uomo che sviluppa la civilizzazione e la scienza per dominare il mondo: vive in mezzo alla società e ha bisogno di altri che interagiscano con lui. Egli infatti cerca di capire come funzioni la natura per poi imitarla nel creare altre cose.
Il secondo tipo di essere umano, quello solitario, ha dentro di sé lo spirito divino. È alla continua ricerca del perché, del perché sia stato creato e percepisce un forte anelito verso D-o. L’uomo di fede infatti ha la necessità di andare verso D-o.
All’interno del libro l’autore si interroga se questi due uomini si incontrino. Questa è la sua conclusione: L’individuo che rappresenta il dominio sul mondo ha bisogno dell’uomo di fede per dare un senso a ciò che sta costruendo. Se queste due concezioni si uniscono, allora nasce una fede razionale, ma se non si incontrano nasce un qualcosa di irrazionale».
Arbib, concludendo il suo contributo, ha poi ricordato che Solovetchik nella sua vita scrisse numerosi interventi su temi della tradizione ebraica: «L’autore in un intervento su Pesach riportò un’interpretazione sul pane azzimo, un alimento molto semplice fatto di grano e acqua, che rimandava alla semplicità che precede il pensiero. Nel Talmud infatti leggiamo: “Il bambino comincia a parlare quando assaggia il grano”. La citazione parla della coscienza tra l’infante e i suoi genitori, si evoca un sapere minimo e primordiale che ci invita a fare un passo indietro nel processo di conoscenza. L’uomo di fede ritorna ad una consapevolezza primordiale del rapporto col padre. Per l’uomo dominatore è inconcepibile tornare bambino, mentre per l’uomo di fede il rapporto con D-o è simile allo stesso legame istintivo tra padre e figlio».
La parola è poi passata a Rav Della Rocca che nel suo intervento ha analizzato alcuni elementi relativi allo studio del Talmud: «Talmud in ebraico significa studio e deriva dalla radice ebraica l-m-d. È un testo rivolto allo studio della Torah e all’applicazione dell’Halakhà. Possiamo considerare il Talmud come una sorta di verbale delle discussioni rabbiniche avvenute tra il III e VI secolo dell’età volgare. All’interno di questo libro ci sono leggi, racconti e riflessioni filosofiche per studiare e leggere il mondo. Ma anche consigli sulle pratiche quotidiane, sulle cognizioni scientifiche e brani umoristici. Dobbiamo ritenere il Talmud come una legge orale che deriva dal commento della legge scritta. La Torah per un ebreo è un oggetto preziosissimo. Ogni sabato mattina infatti in Sinagoga i fedeli ne leggono un brano e quando leggiamo quelle parole sentiamo di essere chiamati da qualcosa di più alto. Nella Torah c’è tutta la nostra devozione ma anche il Talmud è indispensabile per interpretare la parola scritta».
Rav della Rocca ha spiegato infatti che secondo certe interpretazioni la legge orale precederebbe quella scritta. Ci sono infatti delle indicazioni religiose che non sono esplicitate nel testo sacro: «Il giorno del digiuno dello Yom Kippur non è presente in nessuna parte del libro ma questa festività e pratica è stata tramandata nei secoli di generazione in generazione».
Per quale motivo il Talmud nella storia è stato distrutto mentre la Bibbia è stata tutelata? Rav Della Rocca ha sostenuto che la Chiesa e altri soggetti, che in passato tentarono di azzerare l’identità ebraica, decidevano di dare al rogo il libro ebraico proprio perché esso conteneva i tratti tipici dell’ebraismo.
«Il Talmud nasce nel contesto di una catastrofe: la caduta di Gerusalemme e la distruzione del secondo tempio. La Mishnah e il Talmud infatti hanno cercato di ridare senso all’ebraismo e sanare questa ferita inguaribile. Si è allora materializzato un tempio invisibile che ha accompagnato gli ebrei dappertutto. La straordinaria sopravvivenza del popolo ebraico è stata possibile grazie a questo edificio immaginario, che ha permesso di trasformare un ricordo in memoria feconda da tramandare alle generazioni future grazie ad una tradizione morale in continuità con un sistema culturale. Il testo della Torah è vivo e sempre attuale e infatti si dice “Non esistono figli migliori che quelli istruiti nella Torah”.
Nel Talmud invece possiamo notare quanto siano presenti varie discussioni e confronti sulle tradizioni ebraiche. Nei vari passi c’è infatti sia l’opinione della maggioranza che quella della minoranza: le decisioni vengono prese secondo un principio di inclusione e non di esclusione I maestri greci nelle discussioni con i discepoli non conversavano alla pari con i loro interlocutori, pensiamo soprattutto a Socrate. Invece nel Talmud tutti hanno pari dignità e diritto di cittadinanza. Con i greci c’è un’altra differenza: la concezione del tempo». Rav Della Rocca ha specificato che per i maestri dell’ebraismo non c’è un “prima” e un “dopo” ma un costante “adesso”; i pensatori greci invece archiviavano i fatti avvenuti per poi rievocarli in contrapposizione col presente.
«Secondo il Talmud è l’azione che influenza il pensiero. Questo è un principio opposto al Logos greco che invece determina le azioni. Ricordiamoci che questo libro nasce da una trasgressione: il mancato rispetto di un divieto divino che impediva di mettere per iscritto un sapere che doveva rimanere orale», ha aggiunto Rav Della Rocca che ha poi concluso il suo intervento sottolineando che il «Talmud non è un libro che si può leggere da soli. Ci deve essere sempre un maestro per non incorrere in frettolose interpretazioni».