“Il femminile nell’ebraismo, cristianesimo, islam”: questo il titolo del convegno tentosi a Lugano l’8 marzo. Di seguito riportiamo la cronaca dell’evento scritta da Laura di Corcia del Corriere del Ticino.
Dio odia le donne: sul serio? Il titolo del libro di Giuliana Sgrena pubblicato dal Saggiatore potrebbe essere il punto di partenza della serata di ieri all’USI, una tavola rotonda organizzata dalla Cukier Goldstein-Goren Foundation con Corriere del Ticino, USI e Facoltà di teologia e patrocinata dalla città di Lugano, intitolata «Eva e le altre». Un incontro che ha visto confrontarsi donne provenienti da ambiti e culture diverse, ciò che ha posto le basi – complici le domande del moderatore, il giornalista del CdT Carlo Silini – per un dibattito variegato e animato, ricco di suggestioni e aperto a nuove e feconde riflessioni.
Dopo il saluto del sindaco Marco Borradori, le relatrici, uscendo dagli schemi di lettura con i quali siamo adusi leggere i libri sacri, hanno proposto chiavi interpretative sorprendenti, ottenendo due vantaggi: il primo, il più evidente, è quello di difendere le religioni dall’accusa pesante di essere fucine di una mentalità androcentrica e non cer-
to gentile nei confronti dell’universo femminile; il secondo è quello di stimolare una riflessione sulla diversità e sulla parità che possono, se si vuole, accompagnare i paradigmi proposti dal movimento femminista e dialogare con gli stessi.
Prima a prendere la parola, Fiona Diwan, giornalista e direttrice dei media della Comunità ebraica di Milano, ha proposto un brillante excursus sul mondo delle donne nelle Scritture ebraiche, sottolineandone aspetti assolutamente alternativi rispetto al modello tutto casa, marito e devozione propostoci dalla vulgata. Eva e le donne come Sara, Rachele e Rebecca ridono, sono riverenti ma allo stesso tempo irriverenti nei confronti di Dio, non accettano e si ribellano a leggi che ritengono insensate. La relazione fra uomo e donna, secondo la studiosa, è la via attraverso la quale si pongono i giusti limiti ai deliri d’onnipotenza dell’essereumano (oggi va di moda la parola «narcisismo»), in uno scambio che immerge il «tu» nel «noi» e che tiene lontana l’idolatria.
Altro tema presente nelle Scritture e sul quale forse non si è posto abbastanza
l’accento è quello della sterilità: come mai? Perché non promuovere il ruolo generativo e genitoriale della donna?
«Proprio per evitare di inserirla in un ruolo di regina del focolare», precisa Diwan, riflettendo anche su come la non maternità, mantenuta almeno fino a un certo punto, sia uno step fondamentale che permette alla donna, prima di mettere al mondo un figlio o una figlia, di generare se stessa, di elaborare un progetto futuro. «Per la donna, tutto è frutto di conquista – conclude la giornalista e pensatrice a fine intervento, ricordando la grande distanza che separa il mondo ebraico da quello greco, dove dominano eroine e dee segnate da un destino tragico, dedite alla verginità, quanto di più distante dal racconto biblico permeato invece dall’energia tutta volta al traguardo.
Molto toccante la disquisizione dell’antropologa musulmana Maryan Ismail, storica portavoce della comunità somala aMilano, che ha avuto il merito di presentare al pubblico
un’altra faccia dell’Islam, oggi appiattito sul racconto che il mondo arabo, in
conflitto con l’Occidente, ha definito e propugna inducendoci a credere che esista solo quella versione. Invece ve ne sono tante altre, che mirano a recuperare la dignità della donna e i suoi diritti a partire dal Corano stesso. Secondo quanto raccontato dalla studiosa, ai tempi del Profeta le donne erano importantissime e non corrispondevano al modello sottomesso che oggi associamo istintivamente alla religione musulmana. Per esempio, la prima moglie del Profeta, Khadijah, era una ricca commerciante di quattordici anni più grande di lui; anche oggi qualche maligno avrebbe da ridire sulla differenza d’età. Ma è Aisha la vera proto-femminista musulmana, col suo carattere impulsivo e il suo confrontarsi a testa alta col mondo maschile, anche con Maometto. «In epoca pre-islamica era concesso l’infanticidio, cosa che fu vietata dalla religione, la quale riconobbe anche alle donne il diritto all’eredità e alla proprietà privata», continua la pensatri ce, ricordando che su questo si basano le rivendicazioni di chi crede nella parità fra uomo e donna pur non rinunciando alla fede (quello che è definito il
femminismo radicale). Ovvero, la via abbracciata da Ismail stessa, la quale spera che i musulmani e le musulmane presenti in tutto il mondo possano affrancarsi dalla visione soffocante proposta da quella parte del mondo arabo che si sclerotizza su modelli che non combaciano con quelli della scrittura sacra.
Frizzante e dissacrante l’intervento della teologa Linda Pelliccioli, professoressa alla Facoltà di teologia cattolica di Lugano, la quale ha sottolineato che la pur comprensibile risposta femminista a secoli di sopraffazione maschilista rischia di appiattire le differenze fra uomo e donna e con esse le polarità atte alla costruzione di una relazione in cui ciascuna persona dipende dall’altra ed è di essa responsabile.
Infine, l’intervento della regista e scrittrice specializzata nei temi legati alla migrazione Marina Gersony, ha affrontato il tema delle coppie miste e le difficoltà comunicative e relazionali che ne derivano, caricate, in genere, sulle spalle delle donne. Anche per lei non c’è uguaglianza fra uomo e donna se si an-
nullano le differenze. La società va verso il meticciato e la strada per percor-
rerla, ha concluso, risiede nella «Herzkultur», la cultura del cuore.