di Roberto Zadik
Un caso che ha sconvolto non solo Roma ma tutta l’Italia ebraica è stato quello del Rabbino Capo della Comunità romana Israel Zolli (nato Israel Anton Zoller) che alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel febbraio 1945, arrivò a convertirsi al cattolicesimo. Una scelta che ancora oggi lascia increduli. Su questa spinosa e interessante vicenda si è svolta la serata Kesher dello scorso 5 novembre: “Il caso Zolli”. Condotta efficacemente dal Rabbino Capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni e dallo storico Alberto Cavaglion la conferenza è stata seguita da una serie di domande e interventi dal pubblico, con chi addirittura nobilitava Zolli come “grande studioso e uomo di pensiero che teneva bellissime lezioni”. Una vicenda che ancora oggi scatena discussioni molto accese su un personaggio a dir poco scomodo e controverso.
Ma chi era Israel Zoller – poi diventato Eugenio Pio Zolli, fiero cristiano – che scrisse uno stravagante saggio sulle radici ebraiche del cristianesimo come Il Nazareno nel 1938? Dopo i saluti del Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib, un brillante inquadramento storico e sociale dello storico ebreo torinese Cavaglion ha tratteggiato non solo la sua figura umana, «sempre indeciso fra la dimensione di studioso e quella di rabbino, dal carattere burbero e scontroso, dopo aver lavorato a Trieste arrivò a Roma, ma non venne ben accolto dalla Comunità locale che non capiva il personaggio»; ma anche il contesto storico in cui visse. L’amicizia con studiosi e filologi biblici importanti come Umberto Cassuto, la condizione di ebreo polacco galiziano nato nella cittadina di Brody, la stessa del grande scrittore Joseph Roth, «una delle figure estere e ashkenazite importate nel nostro Paese come ce ne furono altre, si pensi al Rabbino Margulies quello della celebre Scuola rabbinica», e l’arrivo nella Comunità romana. «Il lavoro di Rabbino fra ‘800 e ‘900 – ha ricordato Alberto Cavaglion – non era per niente facile, segnato da forti contrasti e litigi con la Comunità, gelosie e invidie interne e stipendi spesso bassissimi», nettamente inferiori a quelli di docente universitario, titolo al quale Zolli aspirava fortemente. In conflitto fra essere uno studioso «col suo approccio scientifico ai testi» e rabbino, collega e amico di grandi personaggi come Giovanni De Vita, lo studioso Cassuto e il professor Bonaiuti che ebbe come allievo nientemeno che Enzo Sereni, Zolli visse i momenti più duri della sua vita a Roma. Accusato di indifferenza verso la Comunità, mostrò invece grande zelo nel cercare di capire come difendere la Comunità e contrastare l’avvento dei nazisti che si sarebbero diretti verso il Ghetto. Zolli cercò di convincere gli ebrei romani a scappare, «a chiudere il Tempio e gli uffici comunitari, a cancellare l’elenco dei nomi degli ebrei locali… ma senza successo, non venne ascoltato e questo provocò la deportazione degli abitanti del Ghetto in quel terribile 16 ottobre 1943 – come ha ricordato amaramente Cavaglion. – Gli ebrei romani del tempo erano caratterizzati da reazioni ingenue e incredule rispetto a quanto stava davvero accadendo, mentre Zolli, che veniva dal mondo austro-ungarico, i tedeschi li conosceva bene. Accusato, osteggiato, incompreso; dovette andarsene, scappare via, come fecero altri rabbini a quell’epoca e diversamente dal Rabbino di Genova, che rimase fino all’ultimo».
Dopo la liberazione, Zolli fu oggetto di aspre critiche e duri attacchi. Come mai? La sua conversione così improvvisa e inspiegabile al cattolicesimo fu un terribile colpo per tutti.
Molto efficace anche l’analisi di Rav Di Segni che ha ripercorso il passato di Zolli, la sua nascita a Brody «cittadina che visse un forte fermento culturale e un allontanamento dalla tradizione»; il destino di questo personaggio che visse sempre al confine e al limite, come predice il suo cognome “Zoller” che in tedesco significa “Doganiere”, fra identità straniera e italianizzazione, e divenne Italo Zolli e poi Eugenio Pio Zolli, fra ebraismo e attrazione verso il cristianesimo. Ma fu quell’interesse a portarlo a una mossa tanto estrema come la conversione, oppure quelle contestazioni così pesanti, che lo allontanarono sempre più dalla Comunità e anche dal suo ebraismo? Difficile dare una risposta: tante sono le polemiche e gli interrogativi su questo inquietante personaggio. Però, come ha reso noto Rav Di Segni, «in quegli anni diversi ebrei, come lui, si convertirono». Tante le domande e le riflessioni dal pubblico, per un personaggio che, scomparso nel 1956 a 75 anni, è sempre stato animato – seppur in modo discutibile e tormentato – da una sua spiritualità, tanto che la biografa Judith Cabaud affermò che Zolli, il giorno di Kippur «ebbe una visione mistica cristiana».