di Giovanni Panzeri
“Nelle sue memorie Helena Rubinstein scrive che bellezza e alta moda vanno mano nella mano,” spiega Virginia Hill, professoressa di Storia della Moda e del Costume all’Istituto Marangoni, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica di domenica 10 Settembre, usando l’esempio della celebre produttrice di cosmetici per aprire la conferenza dedicata a descrivere l’influenza di personalità ebraiche sulla storia della moda.
Il dibattito, introdotto da Michael Soncin, giornalista di Mosaico-Bet Magazine, si è tenuto presso l’auditorium del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e ha visto l’intervento di vari ospiti: oltre alla, già citata, Virginia Hill sono intervenuti Giulia Crivelli, storica giornalista di Moda del Sole 24 ore, e Luigi Caccia, presidente di PureDenim, azienda specializzata nella produzione di denim ecosostenibile.
I grandi della cosmesi e della moda
Tra le personalità cui è stato fatto riferimento nel corso della conferenza, oltre alla Rubinstein, fondatrice di una delle prime e più famose case cosmetiche al mondo, sono emersi in particolare i nomi dello stilista israeliano Alber Elbaz, di Levi Strauss, lo storico produttore degli intramontabili blue jeans, e di Gaby Aghion, fondatrice della “maison” francese Chloé.
“Helena Rubinstein non era notevole solo per i cosmetici” afferma Virginia Hill “era una donna aperta all’arte e alla cultura, e diventò la prima grande collezionista di arte non occidentale in Europa. Era una donna molto forte, a quanto pare anche abbastanza tirannica, che ha fatto qualcosa di eccezionale senza mai rinnegare le sue radici”. Rubinstein era nata povera, in una delle zone più umili del Ghetto di Cracovia, ma finirà col diventare una delle più grandi imprenditrici della sua epoca. Negli anni Cinquanta andrà in Israele all’inaugurazione del Padiglione d’Arte Contemporanea – da lei finanziato – al Museo d’Arte di Tel Aviv. Qui incontrerà personaggi che hanno fatto la storia dello Stato Ebraico come Golda Meir e David Ben Gurion.
Inoltre, è curioso sapere che Rubinstein oltre ad essere la cugina del noto filosofo Martin Buber, dalla linea paterna discendeva dal grande maestro Rashi, uno dei più grandi commentatori della Torah e del Talmud di tutti i tempi.
Per parte sua Gaby Aghion, la fondatrice di Chloé, è celebre nel mondo della moda per aver avuto l’intuizione di introdurre a Parigi il prêt-à-porter di lusso, ovvero dei capi di abbigliamento pronti all’uso, venduti ed indossati da un pubblico più ampio rispetto a quello estremamente esclusivo a cui erano riservati i prodotti di alta moda del tempo. Gaby era nata ad Alessandria d’Egitto nel 1921. Come tutti gli ebrei del paese aveva ricevuto un’educazione alla francese. A Parigi si trasferirà al termine della guerra nel 1945. Qualche anno dopo, nel 1948, con l’istituzione dello Stato d’Israele, le tensioni nei confronti degli ebrei, oltre all’Egitto, coinvolgeranno, come sappiamo, praticamente tutti i paesi arabi.
Lo stilista Alber Elbaz, responsabile della rinascita della famosa maison francese Lanvin, si distingueva nel lavoro invece, secondo Giulia Crivelli, “per la sua capacità di lasciare spazio ad altri, di lavorare in gruppo e farsi voler bene. Rispetto ad altri stilisti era meno ‘star’, meno impegnato a costruire il mito di se stesso, per concentrarsi su quello che poteva fare per i clienti”. Elbaz si era trasferito in Israele con i propri genitori, quando aveva ancora pochi mesi. Era nato in Marocco da una famiglia di ebrei sefarditi. Scomparso nel 2021 a causa del Covid-19, è considerato oggi il più grande stilista che Israele abbia mai avuto.
Infine, Levi Strauss, impresse il suo segno sulla storia della moda, fino ai giorni nostri, inventando e producendo, assieme a Jacob W. Davis, i primi pantaloni in denim, ovvero i primi blue jeans.
Michael Soncin ha poi parlato di Hed Mayner, stilista israeliano che nelle sue collezioni inserisce molte influenze del mondo ebraico ortodosso, come, ad esempio, giacche simili al talled (scialle di preghiera).
Una delle ultime personalità affrontate durante il dibattito è stata Annie Leibovitz una rivoluzionaria nel campo della fotografia, conosciuta per la ritrattista e per la fotografia di moda. Sono sue diverse tra le più famose copertine di Vogue Usa dei nostri tempi. Leibovitz ottenne il suo primo importante lavoro presso la rivista Rolling Stone, con un portfolio contenenti numerosi scatti effettuati durante la sua permanenza in Israele all’interno di un kibbutz, dove andò a lavorare come volontaria, studiando anche l’ebraico.
L’indaco e il lato oscuro della moda
Proprio usando come esempio i metodi di produzione dei jeans, Luigi Caccia ha ricordato al pubblico che la moda ha un lato “meno brillante”. “La moda può avere una facciata bella, scintillante e inclusiva, soprattutto in Europa” spiega Caccia “ma quando si guarda ai metodi e alle condizioni in cui viene prodotta, emerge la sua parte oscura.”
Questi problemi sono evidenti, secondo Caccia nell’utilizzo dell’indaco sintetico, una sostanza prodotta tramite elementi altamente inquinanti o cancerogeni come soda caustica e idrosolfiti, sui prodotti in denim. La produzione dell’indaco ha pesanti conseguenze sull’ambiente e sul lavoro nei luoghi di produzione del materiale, rendendo salate le acque dei fiumi, che non possono più essere usate per l’irrigazione o per pescare.
“Chi vive in quei posti è dunque spesso forzato a lavorare in condizioni terribili nelle fabbriche che producono denim e jeans.” continua Caccia “la mancanza di alternativa ha creato una nuova classe di schiavi”.
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Un metodo innovativo, recentemente sviluppato dall’azienda israeliana Sonovia, eliminerebbe l’indaco sintetico dal trattamento dei jeans, rappresentando, secondo Caccia, una possibile risposta a questi problemi.
“Sonovia ha inventato una molecola nuova, un nuovo tipo di indaco” spiega Caccia “che può attaccarsi al materiale attraverso l’uso di ultrasuoni, sostituendo di fatto il vecchio indaco sintetico. In questo modo si eliminerebbe l’uso di soda e idrosolfiti dalla produzione, e si permetterebbe il riciclo dell’acqua usata durante i lavaggi. Elemento fondamentale visto che molti dei paesi in cui viene prodotto il denim soffrono di scarsità d’acqua”.
La conferenza si chiude con due immagini, apparse nei ringraziamenti: la prima raffigurante l’outfit di un vestito che ricorda molto la forma di un Maghen David, della poliedrica artista nativa di Odessa Sonia Delaunay; la seconda, ad opera di Talia Zoref, illustratrice di moda israeliana, tra le famose dei nostri tempi.