Gece 2023. Oltre l’estetica: la bellezza è fondamentale per la vita religiosa ebraica

di Ilaria Myr
“Menzognera è la grazia e vana è la bellezza” dice un antico proverbio (31:30) contenuto nella Bibbia, ed è questo il titolo provocatorio dell’intervento del Rabbino Capo di Milano rav Alfonso Arbib durante la mattinata della Giornata europea della cultura ebraica, in cui ha illustrato l’approccio dell’ebraismo al tema della bellezza.

«Come su tutto, anche in questo caso l’ebraismo ha un approccio ‘problematico’, nel senso che pone dei problemi – ha spiegato -. Da un lato, infatti viene espressa una grande sensibilità alla bellezza: lo stesso Maimonide dice che l’essere umano ha una tendenza naturale verso il bello e una repulsione naturale verso il brutto. Dall’altro, però, non sono pochi i testi in cui viene trasmessa l’importanza di non fermarsi all’apparenza e alla bellezza estetica. Per questo Rav Jonathan Sacks, ex rabbino Capo del Commonwealth deceduto di recente, affermava: “quello che differenzia l’ebraismo dalle altre culture è che è basata sull’ascolto, e non sulla vista”».

Questa spinta ad andare al di là delle apparenze emerge anche dalla poca importanza che l’ebraismo dà ai monumenti. «Sono molto pochi i monumenti ebraici, mentre vengono preferiti i ‘momenti’ – ha spiegato Rav Arbib -. Questo perché l’ebraismo dà più importanza al tempo che allo spazio. La bellezza, quindi, nell’ebraismo è intesa come ricchezza interiore piuttosto che esteriore».

Eppure ci sono non pochi riferimenti nella Torà alla bellezza estetica: molto dettagliate sono ad esempio le descrizioni del mishkan, il santuario mobile che gli ebrei costruiscono nel deserto, in cui viene esaltato l’alto valore artigianale e artistico. Così come sono belli esteticamente i vestiti del Cohen Gadol, il sommo sacerdote, che devono essere “lekavod ve letiferet”, cioè per onore e bellezza. «In questi casi la bellezza serve per attirare l’attenzione su ciò che rappresentano – ha spiegato – e comprenderne l’importanza. La bruttezza esteriore respinge».

A questo proposito molto interessante è il pensiero del più grande rabbino del ‘900, Rav Soloveitchik che sosteneva che quello che diceva Maimonide – sulla spinta naturale alla bellezza e la repulsione alla bruttezza – non riguarda solo l’estetica, ma anche il nostro rapporto con la religione e la morale. “Quando la torà parla di alcuni peccati, e in particolare del peggiore, cioè l’idolatria, non ne parla solo come qualcosa di inaccettabile ma come un  “abominio” – continua Rav Arbib -. In un verso, poi, la Torà dice: “non introdurrai in casa tua un abominio”, cioè qualcosa di orribile, passando quindi a una dimensione estetica. Questo perché l’ebraismo, pur essendo una religione che si rivolge molto all’intelletto, riconosce il ruolo fondamentale delle emozioni, e che da un punto di vista religioso è importante riuscire a toccare questa sfera. E quindi la tendenza naturale alla bellezza è fondamentale per nostra vita religiosa”.