GECE 2023: Potenza delle immagini. Kubrick e l’esuberanza del significato

Nell’ambito della Giornata europea della Cultura ebraica, all’AUDITORIUM DEL MUSEO DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA “LEONARDO DA VINCI”, Domenica 10 settembre 2023 alle ore 16.30, si parlerà della  Potenza delle immagini. Kubrick e l’esuberanza del significato (A cura di Niram Ferretti e Alex Infascelli)

 

di Niram Ferretti

Nel chiaro e ferreo nitore che le contraddistingue, le immagini kubrickiane nascondono al loro interno una stratificazione semantica di cui l’occhio prende coscienza solo attraverso un’applicazione estremamente attenta.

La visione di un film di Kubrick, non è mai, pertanto, la prima volta che lo si vede, “un’esperienza compiuta”, ma è, nel tempo che intercorre tra la visione e il ricordo (metabolizzazione) di ciò che si è visto, un’esperienza che si fa, che si compone. Nella sua opera, sotto “la superficie liscia” delle immagini, si nasconde, infatti, l’altro da ciò che appare, da ciò che la superficie mostra in tutta la tersa precisione della sua evidenza, altro che è la conseguenza dell’avere saputo fondere due opposti: il nitore levigatamente conchiuso dell’immagine in sé (cifra estetica kubrickiana per eccellenza rintracciabile nella sua essenza più pura a partire dal 1968, l’anno di 2001, il suo primo film a colori) e l’eccedenza, il rigoglio del suo contenuto.

 

Anti-mimetica per eccellenza, seppure, meticolosamente aderente alla verità del dato da riprodurre (aspetto della sua scrittura filmica che ha generato l’equivoco di un Kubrick regista “realista”), l’immagine cinematografica kubrickiana è e deve essere, evocazione, richiamo, di quella molteplicità di senso che nel reale si manifesta, che di esso costituisce la fisionomia spaesante, la tessitura problematica.

Gran parte del fascino del suo cinema sta appunto in questo, che l’evidenza del dato, dell’immagine, nel suo offrirsi all’occhio dello spettatore, rinvia inevitabilmente a ciò che sta dietro (dentro) di essa, a una polisemia di cui l’immagine è sempre e solo una traccia, un referente. In Kubrick non c’è mai, per quanto strenuamente determinata, una pretesa di possesso definitiva dell’immagine creata, così come di essa non può mai esservi possesso definitivo da parte dello spettatore, il quale è sempre spinto in profondità dentro la problematicità di ciò che gli viene mostrato. In questo senso, Eyes Wide Shut, opus postumum, e tra i suoi film più fraintesi, sul quale mi soffermerò in modo particolare, rappresenta la summa definitiva della sua poetica.