di Ilaria Myr
Che i pittori rinascimentali fossero intrisi di cultura ebraica è cosa ormai nota. Che però nelle opere dei più grandi artisti ci siano dei richiami all’ebraismo più occulti e simbolici lo è forse un po’ meno. Che cosa significano, ad esempio, gli oggetti che Leonardo da Vinci dipinge sulla tavola nell’Ultima cena? E perché invece in due pennacchi della Cappella Sistina ci sono Amman impiccato e il popolo ebraico attaccato dai serpenti? Di questo e molto altro parleranno alla Giornata Europea della cultura ebraica Alfonso Sassun e Riccardo Sorani, durante il pomeriggio, nel corso di un evento intitolato La bellezza in Michelangelo, Leonardo e Giorgione: tra Arte, Midrash e Cabbalà. Estetica e simbologia ebraica: eredità e tracce nascoste nella storia dell’arte.
Introdotti da Davide Romano, i due relatori affronteranno aspetti teorici e più pratici del legame fra ebraismo e arte con esempi e riflessioni di grande interesse.
«Perché Leonardo sul tavolo dell’Ultima Cena mette dei melograni, un’anguilla e un’arancia? – si chiede Alfonso Sassun, segretario generale della Comunità ebraica di Milano nonché grande studioso dell’esegesi ebraica e appassionato di arte -. Partendo dal presupposto ebraico che la tavola rappresenta un altare, che era un luogo di espiazione dei peccati, sono arrivato alla conclusione che non si tratti di un’anguilla, ma di un serpente, a richiamare il primo peccato commesso dall’uomo, e che l’arancia è il frutto proibito. Mentre i melograni richiamano quelli che metteva il Cohen Gadol nelle proprie vesti, assieme a dei campanelli, per andare all’altare a espiare i peccati del popolo ebraico a Gerusalemme. Ma il melograno è anche il frutto che si mangia a Rosh haShanà, il capodanno ebraico secondo il calendario lunare, mentre la cena del seder si svolge a Pesach, considerato il capodanno della Torà: Leonardo collega quindi i due capodanni».
Si parlerà, seguendo lo stesso ragionamento che attinge anche alla Qabbalà, anche di altri due grandi artisti del Rinascimento, Michelangelo e Giorgione. «Approfondirò il significato dei quattro pennacchi della Cappella Sistina, dando in particolare una interpretazione inedita su due di cui ancora non si è capito il significato – continua Sassun -. E poi affronterò I tre filosofi di Giorgione, e il significato del pezzo di carta che ha in mano Mosé».
Ma si può parlare di arte ebraica in senso lato? Perché, com’è noto, nell’ebraismo la divinità non può mai essere rappresentata, come ordinato dal secondo Comandamento: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”.
«Il contributo essenziale e unico dato dall’ebraismo nell’ambito della storia ebraica è avere ‘visualizzato’, già in tempi antichi, l’intervento divino, come è evidente nell’antica sinagoga di Dura Europos, in Siria, o nei mosaici trovati a Bet Alfa, in Israele», spiega lo studioso di arte Riccardo Sorani e proprietario della galleria d’arte Esh -. Per quanto riguarda la bellezza nell’arte ebraica, bisogna risalire a quanto detto nell’Esodo, 15, 2: “questo è il mio Dio, io lo glorificherò”. In che modo? Eseguendo le mitzvot nel modo ‘più bello possibile’. Per questo creiamo degli oggetti rituali esteticamente di valore. Certamente, però, nel tempo c’è stata un’assimilazione da parte ebraica dei canoni estetici delle varie epoche, con una commistione fra etica (ebraica) ed estetica (non ebraica)».