GECE 2024. Il sorriso delle mogli è insostituibile: la lezione di Rav Colombo

di Ludovica Iacovacci
“Quando i rabbini litigavano con le mogli”: così si intitola l’intervento tenuto da Rav Roberto Colombo nel Tempio Centrale di Milano di via della Guastalla in occasione della Giornata Europa della Cultura Ebraica. Un appassionante e appassionato intervento, ricco di fonti, incentrato sul rapporto che c’è tra l’essere rabbino e studiare Torah rispetto alla relazione con la propria moglie.

“Sì, anche i rabbini litigavano con le loro mogli” apre il suo discorso Rav Colombo catturando subito il pubblico con una battuta che genera risate tra gli ascoltatori: “Anche se la questione non mi riguarda visto che io con la mia non ci litigo mai”. Continua: “Nella Torah già sono accennati i problemi tra mariti e mogli. Quando Dio crea l’uomo decide di creare la donna e dice: “Io farò un aiuto contro di lui”. Il Talmud, quindi, si pone questa domanda: la donna è un aiuto o no per l’uomo? Quando un uomo trova una moglie, vuol dire che gliel’ha mandata Dio. Se ne trova una buona o una cattiva, in ogni caso significa che se lo merita. Già nel Talmud è scritto che il rapporto può essere stupendo o può essere un problema”.

Rispettare prima la moglie o i genitori?

Il rabbino poi pone una domanda: “A chi si deve portare più rispetto, a una moglie o ai genitori? Se un uomo per rispettare la moglie manca di rispetto ai genitori, tradisce i comandamenti?”. Rav Colombo allora spiega: “Nella Torah c’è scritto che l’uomo dovrà lasciare sua madre e suo padre ed unirsi alla moglie. In una persona deve prevalere il rispetto per la moglie, anche se per fare questo ci sarà contrasto con i genitori. Sotto la chuppa si dice che l’uomo e la donna dovranno essere felici come Adamo ed Eva, ma loro erano felici?”. Rav Colombo condisce la spiegazione con un aneddoto personale: “Cinquantadue anni fa, quando camminavo per Venezia, trovai una tazzina che mi fece imparare cosa significa essere felici, c’era scritto: “Adamo ed Eva erano felici perché non erano stati creati i suoceri”. Scoppia una grande risata nel pubblico in Guastalla. Il rabbino continua: “Sembra assurdo ma è questo quello che dice la Torah: l’uomo dimentichi i genitori, il rapporto importante è quello familiare”.

 

Guerra e pace? La soluzione è la moglie

Prosegue Rav Colombo analizzando il rapporto coniugale con il servizio di leva militare: “Nella Torah c’è scritto che quando un uomo prende una moglie, non deve andare a fare il militare. E non deve fare nulla, neppure andare in caserma per preparare il cibo per altri militari. Lo deve fare per il primo anno matrimoniale. Deve stare con la moglie, deve rimanere a casa con lei e deve renderla felice. I maestri spiegano che le iniziali delle ultime 4 parole del versetto formano il nome di Dio. Un uomo che non rimane a casa nel primo anno matrimoniale non offende solo la moglie, ma offende Dio. La Torah prevede questa regola perché la famiglia è la prima a pagare le conseguenze di un militare in guerra”.

Rav Colombo continua spiegando come i maestri abbiano fatto di tutto per risolvere i problemi familiari poiché il rapporto tra marito e moglie è fondamentale per il popolo ebraico. Rav Colombo racconta di quando un rabbino fece riconciliare marito e moglie evidenziando il fatto che lei si chiamasse “sporcizia”. Pur non essendo bella da un punto di vista estetico, il rabbino sottolineava come il suo nome la descrivesse e dimostrasse una presa di coscienza molto matura da parte della donna, delineandone un pregio. L’importante è trovare il legame tra le persone. È scritto nel Libro dei Proverbi: “Chi trova la moglie, trova il bene” ma lo stesso autore del Libro dei Proverbi, che è Re Salomone, scrive in un altro libro che è l’Ecclesiaste: “Trovo che la donna sia peggio della morte”. Allora i rabbini si interrogano se trovare moglie sia un bene o meno, e cosa significhi trovare la morte. Spiegano che trovare la morte significa trovare la serenità, infatti una moglie che vuole creare scompiglio comporterà mancanza di serenità. Racconta il Talmud che quando un ragazzo si sposava i rabbini gli chiedevano se la moglie facesse parte del primo o del secondo versetto. Come disse Rav Yeudà a suo figlio: “Io trovo che la donna sia peggio della morte”.

Rav Colombo spiega che anche i rabbini in passato avevano grossi problemi con le mogli. “Disse Rav: “Un uomo deve stare molto attento a non mortificare mai la propria moglie perché le donne piangono spesso e si offendono con facilità. Chi segue i consigli della propria moglie cadrà all’inferno”. Come è detto: “In realtà nessuno si è mai venduto a fare il male agli occhi del signore come Acab, istigato dalla propria moglie Gezabele”, come raccontato nel Libro dei Re. Il rabbino spiegò che il consiglio della moglie avrebbe potuto essere chiesto per dinamiche inerenti alla casa, non al lavoro e mai alle questioni del cielo”.

Rav Colombo contestualizza che all’epoca del Talmud i maestri avevano il problema di costruire l’ebraicità all’interno della propria casa e avevano paura del rapporto con la propria moglie. La motivazione? All’epoca del Talmud il popolo ebraico stava vivendo l’epoca romana, un tempo nel quale gli ebrei rischiavano di essere cancellati. Pertanto, dalla mattina alla sera, i rabbini rimanevano nelle scuole, nei templi, i maestri erano accanto ai loro alunni per evitare che gli ebrei scomparissero: dovevano fare di tutto per rendere forte la comunità ebraica. Chi erano coloro che rimanevano sole? Le mogli. Per questo, i maestri hanno capito che le prime a pagare le conseguenze della costruzione dell’identità ebraica sarebbero state le donne che rimanevano sole a casa: questo è stato il problema che molti rabbini avevano all’epoca del Talmud” spiega Rav Colombo che punta successivamente l’attenzione sulla Mishnà, risalente a circa due secoli prima del Talmud: “Non ci si dilunghi a parlare con la donna, intendiamo con la propria moglie, tanto più non ci si dilunghi a parlare con la donna altrui”. I maestri quindi suggerivano di non parlare troppo con la propria moglie, spiega il rabbino. Qual è la ragione? “Ciò che vuol dire la Mishnà è che quando si rientra a casa dopo aver litigato con qualcuno, non si dovrebbe raccontare alla propria moglie cosa sia successo. Lei infatti potrebbe rispondere dicendo: “Sì bravo, però…”. Nel momento in cui l’uomo sente che la moglie non lo supporta al cento per cento, il rapporto si potrebbe rovinare: è per questo che il Talmud dice di non parlare di lavoro con la propria moglie. Marito e moglie si aspettano che proprio nei momenti di abbattimento l’uno sia accanto all’altro; nel momento in cui da una parte c’è una critica verso l’altro allora il rapporto familiare può rovinarsi”.

 

L’importanza di fare figli, per i rabbini come per ogni ebreo

“I maestri raccomandano di non parlare con la moglie di cose inutili che servano ad attrarla da un punto di vista sessuale. Secondo il Talmud ci sono casi in cui i maestri sono esentati dall’avere unioni matrimoniali con le proprie mogli. Innanzitutto si chiarisca: l’unione sessuale matrimoniale è fondamentale per il rapporto tra marito e moglie. È scritto nel Talmud. Il Messia, figlio di David, non verrà finché tutte le anime del corpo non saranno terminate. Nel libro di Isaia è scritto che quando una persona muore la sua anima se ne va in cielo e torna nel mondo dentro un altro corpo. Quando l’anima ha terminato il suo compito di vivere in più corpi, ritorna in cielo e vi rimane. Il Talmud dice che quando tutte le anime avranno finito il loro lavoro arriverà il Messia. Pertanto ciò che si deve fare è più figli possibile per permettere all’anima precedente che stava all’interno di un altro corpo di poter tornare. È per questo che il Talmud dice che se una persona non si impegna ad avere figli, allontanerà l’evento messianico. Chi non si adopera facendo dei figli è come se uccidesse una persona perché, come è scritto nella Torah: “Chi versa il sangue dell’uomo, per mezzo dell’uomo il suo sangue sarà versato, poiché a immagine di Dio fu fatto l’uomo […] Fai figli”. Da qui i maestri dicono che chi non fa figli è come se uccidesse qualcuno e come se cancellasse l’immagine di Dio, perché nell’uomo c’è la Sua immagine”.

È giusto che una persona non si sposi per studiare Torah?

Da qui si apre l’interrogativo della coesistenza per un rabbino tra l’avere una moglie e lo studiare la Torah: è giusto che una persona non si sposi o lasci la moglie per studiare Torah? Si è aperta una grande discussione tra chachamim. Rav Colombo argomenta:

“I maestri spiegano che il figlio di Rabbì Akivà si sposò e durante la prima notte di nozze lui non si unì alla moglie perché passò la nottata a studiare Torah, dicendo alla moglie di tenergli il cero per illuminare. Lei gli fece luce per tutta la notte e gli girò le pagine del Libro, dall’inizio alla fine, fino al sorgere del mattino. L’indomani Rabbì Akivà chiese al figlio: tu hai trovato la moglie peggio della morte o hai trovato il bene? Lui rispose di aver trovato il bene. Da qui il Talmud dice che una vera moglie è quella che aiuta il marito a studiare e a vivere il rapporto con la Torah. Se una moglie si rifiuta di aiutare il marito a studiare, il marito potrebbe lasciare sua moglie. Il Talmud racconta che c’erano dei rabbini che tornavano a casa una volta all’anno o ogni tre anni, perché dovevano passare tutto il tempo a studiare. Rabbì Rahumi, racconta il Talmud, tornava a casa solo una volta l’anno. Un anno fu talmente preso dall’argomento di studio che non tornò. La moglie lo attendeva seduta invano, così si rattristò e le scese una lacrima dal suo occhio. Il marito che era seduto sul tetto a studiare morì perché il tetto crollò sotto i suoi piedi. Quando Dio vide come lo studio della Torah aveva permesso alla donna di piangere, allora Dio decise che quella persona non potesse continuare a vivere. L’insegnamento è che non si può permettere che la propria moglie pianga a causa dello studio della Torah. Solo se tua moglie te lo permette, allora si può studiare, quantomeno bisogna chiederglielo. Invece al tempo del Talmud i rabbini non lo facevano, così Dio li punì. Se una persona vuole stare anni senza la moglie per studiare, lo può fare, ma potrebbe pagarne le conseguenze”.

La spiegazione di Rav Colombo viene colorita da un aneddoto accadutogli a Roma a seguito di una sua lezione. Sentendo due signore parlare tra di loro, la prima chiese alla seconda di cosa si occupasse il marito, la quale rispose: “Fa il rabbino, ma l’ho scoperto stasera”.

 

L’esempio rabbinico di salvaguardare l’unione familiare

Rav Colombo conclude parlando di una fonte che definisce “terribile”. “Rabbì Meir usava tenere la lezione al tempio ogni venerdì sera. Una donna era così innamorata della lezione del rabbino che tardò nel rincasare dal marito. L’uso prevedeva di unirsi prima che i lumi di Shabbat si spegnessero. Arrivando quando le candele erano già spente, il marito si arrabbiò al punto che costrinse la moglie a sputare in un occhio del maestro. Rabbì Meir venne a sapere per mezzo di un sogno di questa vicenda e durante una lezione finse di avere un male all’occhio. La donna si avvicinò al rabbino il quale le ordinò di sputargli per sette volte nell’occhio. Così lei fece. “Tuo marito ti ha detto di sputarmi una volta, tu gli dirai che mi hai sputato per sette volte” disse il maestro alla donna. Il più grande maestro d’Israele pur di far riappacificare marito e moglie fu disposto a farsi sputare addosso.

Se marito e moglie litigano, per farli tornare assieme, è scritto nella Torah che Dio dice di scrivere un pezzo di Torah dove c’è il Suo nome e di immergerlo in un’acqua che la moglie berrà. Se a lei non succederà nulla significa che marito e moglie potranno far pace. L’argomentazione del rabbino fu: Dio è disposto a cancellare sé stesso e io non sono disposto a farmi sputare in un occhio?”, domanda Rav Colombo.

 

Anche i rabbini sbagliano  

“A Rabbì Meir accade una delle vicende peggiori che possono accadere, anche nel mondo rabbinico. Lui aveva una moglie che si impiccò. Lei ebbe una vita terribile: il padre fu preso dai romani, torturato e bruciato vivo, perse due figli e sua sorella fu messa in un bordello. Questa moglie visse una vita terribile e si aspettava che il marito le stesse vicino. Una volta nella casa del marito, durante una riunione, i rabbini dissero che le donne fossero superficiali. Lei sentì come parlarono i rabbini e iniziò a ridere, dicendo che loro non capivano nulla. I rabbini guardarono Rabbì Meir, che non seppe cosa fare. Il Talmud disse che il rabbino lasciò Israele ed andò ad abitare in Babilonia. Perché?” domanda Rav Colombo, che spiega: “I commentatori riportano una storia che non è scritta altrove. Rashì, il più grande commentatore del Talmud, dice che dopo che la moglie di Rabbì Meir derise gli altri rabbini, lui rispose che si sarebbe ricreduta perché lei sarebbe diventata superficiale. Allora Rabbì Meir spinse un suo alunno molto bello a fare avance alla moglie. Alla fine la donna si unì a questo ragazzo, così Rabbì Meir rinfacciò il fatto alla donna dando ragione ai rabbini che tacciavano le femmine come esseri superficiali. Lei prese una corda e si impiccò per quello che era successo. Nonostante la moglie avesse visto morire il padre e i figli, nonostante la vita tragica vissuta, il marito non capì che ciò di cui lei aveva bisogno era la sua vicinanza e il suo amore. Rabbì Meir si rese conto troppo tardi dell’errore che aveva commesso, per questo lasciò Israele e si ritirò in Babilonia”, conclude Rav Colombo.

Si studi meno, si lavori meno, ma si rimanga accanto alle mogli

Rav Colombo attraverso questa drammatica spiegazione dei testi ribadisce l’importanza del rapporto dei rabbini con le mogli, sottolineando come in un momento molto particolare per Israele i maestri abbiano avuto molta difficoltà ad avere buone relazioni con le proprie donne. “Oggi non è più cosi” dice Rav Colombo sospirando e concludendo con due esempi degli anni moderni. “Negli anni Ottanta, Rabbì Avì Smhuel Levich disse che secondo una regola ebraica fosse raccomandabile non esagerare con il cibo. Quando invitò a casa sua alcuni alunni, mangiò molto, così gli alunni gli fecero notare l’incongruenza. Il rabbino rispose che la moglie avendo cucinato meritava di essere onorata mangiando tutto ciò che aveva preparato per il marito, facendole piacere. Anche il Rabbino Capo Sefardita d’Israele, Rav Ovadia Yossef, quando parecchi anni fa venne a Milano, fece notare ad un uomo che spendere molti soldi per un cedro di Sukkot quando non si era regalato un bel vestito alla propria moglie fosse sbagliato; è meglio comprare un cedro di valore minore e contemporaneamente regalare un vestito alla moglie”.

Sentenzia Rav Colombo: “Questa è la regola ebraica: il sorriso della moglie non può essere sostituito da niente. Si studi meno, si lavori meno, ma si rimanga accanto alla propria moglie. Questo è ciò che il Talmud ci insegna. In un momento del genere, come quello che sta vivendo il popolo ebraico oggi, spero che tutto questo non possa influenzare il rapporto familiare. Non ce lo meritiamo. Abbiamo bisogno…” il rabbino non riesce a concludere la frase, la voce gli si spezza. “Ok, avete capito” chiosa rapido.

Visibilmente emozionato, Rav Colombo ha saputo emozionare. Nel Tempio Maggiore di Guastalla scrosciano impetuosi gli applausi tra i banchi del pubblico.