GECE 2024. La famiglia ebraica, tra arte e Torà

di Esterina Dana
Perché parlare di famiglia oggi e di famiglia ebraica in particolare?
Lo dice bene Sara Modena ad introduzione del tema di questa XXV Giornata europea della Cultura ebraica a Milano, durante la mattinata al Teatro Franco Parenti: “la famiglia coglie un punto importante e ricchissimo dell’identità ebraica” … “gli ebrei da sempre si considerano una famiglia”… Nella Torà siamo definiti Bené Israel, figli di Israel/Giacobbe; chiamiamo suo nonno Abramo “nostro padre” e Mosè “nostro maestro”: siamo tutti fratelli o cugini o compagni, uniti da una “parentela non formale”, ma eredi attivi di valori millenari che discendono dai Patriarchi e vengono trasmessi di generazione in generazione (le dor va dor).  Come in tutte le famiglie, si mescolano fra loro aspetti conflittuali e sentimenti contraddittori, quando non decisamente disfunzionali.

Davide Romano (al centro nella foto) ricorda come per secoli l’arte abbia rappresentato il tema della famiglia di varie classi sociali e famiglie bibliche con i loro tic e i loro amori: uno specchio della famiglia attuale, laddove l’omicidio di cui sentiamo ripetutamente oggigiorno, chiarisce l’origine e il significato dell’antico comandamento “Onora il padre e la madre” .

La famiglia ebraica, esordisce Alfonso Sassun (a destra), non inizia bene: il fratricidio di Caino, l’irrisione di Cam del padre Noè e la maledizione che ne consegue. Ma anche nella famiglia dei patriarchi sussistono delle aporie, contrasti tra padri e figli, padri e madri divisivi. In quella di Abramo, il problema nasce dalla sterilità di Sara, la quale offre al marito la sua ancella Agar che, attraverso una maternità per surroga, gli dà il figlio Ismaele. In tarda età Sara partorisce Isacco che ama e privilegiare senza riserve, mentre Abramo  si muove con difficoltà tra i due affetti.  Il tema della legatura di Isacco ne rivela la titubanza, tanto che D-o deve insistere per fargli capire quale figlio debba sacrificare.

Anche nella famiglia di Isacco abbiamo due fratelli gemelli, nati in tarda età, che si “scazzottano”  già nel ventre materno di Rebecca: Giacobbe ed Esaù. Rebecca stravede per Giacobbe, secondogenito, uomo semplice che ama stare nella tenda, ovvero studiare, e Isacco per Esaù perché cacciatore, termine che in senso lato significa “colui che cattura con le parole”.

E poi c’è la famiglia di Giacobbe, marito di Rachele: ha 12 figli e una figlia. Anche in questo caso l’amore particolare del padre per uno di loro, Giuseppe, primogenito di Rebecca e figlio della sua vecchiaia per il quale aveva fatto una tunica di lusso,  produce l’odio e l’inimicizia dei fratelli.  Ciò a dire che anche le dinamiche involontarie delle nostre famiglie producono disfunzioni.

Riccardo Sorani (a sinistra) affronta il tema della famiglia ebraica nell’arte focalizzandosi sulla rappresentazione del “sacrificio di Isacco” e sulle sue interpretazioni, spaziando dal III sec. all’epoca moderna e contemporanea. Un affresco nella sinagoga di Dura Europos, in Siria, rappresenta il sacrificio come “eseguito”. Mentre il mosaico di Bet Alfa del VI secolo rappresenta fedelmente il testo biblico. Analoga la rappresentazione della legatura di Isacco nelle opere di Caravaggio (1603) e di Rembrandt (1635) realizzate per una committenza cattolica e interpretate in chiave “tipologica”.  Mordechai Ardon, con Sarah, realizzato nel 1947 a ridosso della Shoah, propone una riflessione sulla fede: dov’era Dio? Una donna disperata con le mani tra i capelli  e nell’angolo inferiore sinistro una scala di Giacobbe stesa a terra, espressione della rottura del patto, rievoca i binari dei treni che conducevano ai campi di sterminio. Itzak Frankl propone una riflessione politica, laddove torna la figura di Abramo inteso come Stato di Israele che, forse, sacrifica i suoi figli. Nell’interpretazione scultorea di Menashe Kadishman, Isacco è morto e il montone non lo sostituirà; delle madri protestano. E’ un’opera antimilitarista realizzata nel 1982.  Del 1994 è l’opera di Dina Shenhav: Quando la fede non è compresa, porta all’estremismo: una riflessione  scritta sul legno.

Interessante Shabbat-Ausang  di Oppenheim del 1886; l’opera pensata sia per un fruitore ebreo, sia non ebreo,  rappresenta il momento dell’Avdalà di una famiglia ebraica emancipata, ma ligia  alla tradizione, a dimostrare, ad un’utenza non ebraica, l’integrazione ma non  l’assimilazione.  In un’opera di Chagall ritorna il tema dello Shabbat: un interno rievoca una chuppà rossa a dimostrare l’incontro con la sposa, lo Shabbat appunto.

Suggestivo il trittico di Reuven Rubin, Primi frutti, 1923. Un’opera sionista in cui su un pannello compare la nuova famiglia di haluztzim, in quello centrale la bellezza di una famiglia yemenita con i propri figli  e nel terzo, uno squarcio del mondo arabo che convive con quello ebraico.

Le Storie bibliche con  Caino e Abele e Abramo e Isacco di Adi Nes (2006) riflettono la ricerca di normalità all’interno di Israele: criminalità, povertà, immigrazione.

Cattura il surreale Album di fotografie di Andi Arnovitz.

Splendido il lavoro di Zoya Cerkassky, ispirato a Guernica di Pablo Picasso per rappresentare l’immane tragedia  del 7 ottobre; opera nella quale, però, compare uno spiraglio di luce a tenere accesa la speranza per i cui valori di quella famiglia che noi identifichiamo con lo Stato.