di Cyril Aslanov
[Ebraica. Letteratura come vita] Nel mondo ebraico tradizionale la famiglia (sia allargata, come nel mondo sefardita e orientale, sia nucleare, come nel mondo ashkenazita) rappresenta un valore assoluto. Eppure nessun valore pur assoluto che sia può resistere all’impatto delle rivoluzioni. Infatti la rivoluzione sionista a cui si deve la creazione dello Stato di Israele e di cui il kibbutz è stato l’espressione più piena, ha relativizzato, per non dire rimesso in questione, la pertinenza del legame familiare. Anche quando gli israeliani non hanno nessuna relazione con il mondo dei kibbutzim, il modello collettivista di queste comunità utopiche è stato sufficientemente pregnante per lasciare delle tracce nell’intera società israeliana.
Per capire la dialettica della transizione dalla famiglia ebraica diasporica alla famiglia israeliana ho scelto il caso dello scrittore Eshkol Nevo, un autore prolifico, il cui stile sensibile riflette i paradossi della società israeliana presa nella contraddizione fra la permanenza dei paradigmi familiari tradizionali e l’atomizzazione individualista, consecutiva alla rivoluzione sionista e al collettivismo incarnato dal modello dei kibbutzim.
Il libro più emblematico di queste tensioni è Arba’ah batim ve-ga’agua’ (2004), pubblicato nel 2014 nella traduzione italiana di Elena Loewenthal con il titolo Nostalgia. In questo romanzo intimista, la cui azione si svolge in quattro case contigue nella periferia di Gerusalemme, si vede come delle famiglie a volte disfunzionali riescano a superare le loro crisi domestiche grazie all’amicizia che crea reti di rapporti umani capaci di instaurare delle comunità trasversali.
Una dimensione interessante nella coabitazione fra le quattro famiglie è il contrasto culturale fra la giovane coppia di studenti ‘Amir e Noa, tipici rappresentanti del mainstream ashkenazita del paese, e ebrei di origine curda. Questi ultimi hanno preservato una concezione della famiglia allargata che gli antropologi chiamano con il termine di “famiglia agnatica”, cioè l’insieme composto dagli agnati, i parenti collaterali discendenti di uno stesso pater familias.
Un leitmotiv importante che percorre i numerosi romanzi di Eshkol Nevo è la tendenza di certi protagonisti anche non giovanissimi a partire per lunghi viaggi con zaino in spalla: In Neuland (2011; 2018 in traduzione italiana), Mani Peleg, un vedovo di sessant’anni se ne va da solo in America del Sud come se fosse un ragazzo testè demobilizzato. Purtroppo scompare e suo figlio si mette alla sua ricerca, ripristinando ai nostri giorni il tema della Telemachia, la ricerca che Telemaco, figlio di Ulisse, fece di suo padre Ulisse tornato da Troia 10 anni dopo la fine della guerra. Nel primo dei tre racconti (“La Strada della morte”) della raccolta Gever nikhnas la-pardes “un uomo entrò nell’orto” (Le vie dell’Eden), 2021 (2022 nella traduzione italiana di Raffaella Scardi) Omri ha 39 anni quando intraprende un viaggio di post-divorzio come altri intraprendono un viaggio dopo il servizio militare.
E per tornare a Nostalgia, descritto sopra, uno dei principali protagonisti del romanzo è precisamente un assente, Modi, partito per un lungo viaggio da mochilero in America Latina.
Ovviamente queste erranze agli antipodi rappresentano l’antitesi della chiusura intimista nel grembo della cellula familiare israeliana, spaccata fra i modelli tradizionali della famiglia ebraica e i paradigmi post-familiari dove la scelta individuale dell’amicizia si sostituisce a legami di sangue. A pensarci bene, Eshkol Nevo non ha innovato tanto: molti anni fa, Shmuel Yosef Agnon, che venne nella Palestina ottomana ai tempi della Seconda ‘Alya (come Levi Eshkol, il nonno materno di Eshkol Nevo, di 7 anni più giovane di Agnon) raccontò molte storie di individui in rottura con il quadro tradizionale della famiglia patriarcale, uno scenario frequente ai tempi della Seconda ‘Alya, quando hanno inventato il kibbutz che chiamavano allora kvutsa.
Il motivo della partenza per un lungo viaggio nella Galut appare nel primo racconto di Agnon, ‘Agunot (“Le derelitte”), pubblicato nel 1908, l’anno dell’arrivo di Shmuel Yosef Czaczkes (il futuro Agnon) a Giaffa. In questo libro il cui titolo ha ispirato la scelta dello pseudonimo Agnon, Reb Ahi’ezer, il padre di Dina, lascia la Terra di Israele per ritrovare l’artigiano dell’arca santa Ben-Uri, di cui Dina, la figlia di Ahi’ezer, si è innamorata a tal punto da non poter rimanere sposata con il marito Yehezkel. Ahi’ezer non tornerà mai dalle sue erranze alla ricerca di Ben Uri e diventerà una figura misteriosa paragonabile all’ebreo errante di cui ho parlato nella rubrica di novembre 2022. Sembrerebbe che la frattura del quadro famigliare tradizionale risalga ai tempi del nonno di Eshkol Nevo, quando molti giovani ebrei dell’Impero russo lasciavano la loro patria e le loro famiglie per re-inventarsi come pionieri di una vita nova nella terra ancestrale.