‘7 ottobre, un anno dopo. Pericoli e opportunità per Israele’. A colloquio con Mordechai Kedar

Kesher

di Ugo Volli

La Comunità ebraica di Milano, in collaborazione con il Noam ed Emanuel Segre Amar ha organizzato domenica 8 settembre un incontro dal titolo ‘7 ottobre, un anno dopo. Pericoli e opportunità per Israele. Cosa dovrebbe fare Israele per assicurare la propria sopravvivenza’. Ne hanno parlato Mordechai Kedar e Maurizio Molinari.

Mordechai Kedar è un tenente colonnello delle Forze Armate di Israele che per molti anni ha operato nell’ambito dei servizi di informazione. È un grande esperto della cultura islamica, materia che ha insegnato in diverse università israeliane ed è stato più volte ospite della Comunità ebraica di Milano. Lo abbiamo intervistato.

Prof. Kedar, qual è secondo lei la situazione della guerra di Gaza? È passato quasi un anno dal 7 ottobre. Si può pensare che una conclusione arrivi presto?

Nessuno può dirlo. Se i terroristi riuscissero a far esplodere una bomba a Tel Aviv, uccidendo venti persone… o fossero in grado di fare qualcosa di grave a Gaza… o se un missile dal Libano passasse attraverso le nostre difese… possono ancora succedere fatti terribili. È una situazione molto dinamica, il futuro non è chiaro. Al di là dei possibili attentati, non è chiara la posizione americana né quella dell’Iran. Anche Israele oggi è diviso, vi sono posizioni diverse fra primo ministro e ministro della difesa.  L’imprevedibilità deriva anche dal fatto che Israele non è abbastanza deciso nei confronti dei propri nemici. Per esempio il problema di Hezbollah avrebbe dovuto essere affrontato parecchio tempo fa. Noi non possiamo più convivere con quello che fanno al confine settentrionale e non c’è spazio per compromessi.

Israele è in grado di vincere la guerra?

Non è facile, ma non abbiamo scelta. Dobbiamo vincere. Se non vinciamo questa guerra, la prossima arriverà in pochissimo tempo.

C’è un grande dissenso in questo momento in Israele sul modo di condurre le operazioni militari e perfino sui loro obiettivi. Non è un ostacolo questo?

Il fatto è che ormai da parecchi anni ormai Israele è polarizzato in due tendenze. Una è la tendenza nazionale, che oggi è al governo, e l’altra è la tendenza ‘liberal’, che è una minoranza sul piano elettorale, ma che controlla il sistema giudiziario, buona parte dell’economia e i media. Di conseguenza questa minoranza è in grado di condizionare la maggioranza, soprattutto perché il sistema giudiziario ha l’ultima parola su moltissime cose, comprese le decisioni del governo, che non è libero di seguire la sua politica.

Secondo lei il governo cadrà su questi contrasti?

Netanyahu è un uomo molto forte, un combattente, come si è visto anche nel caso dei processi che gli hanno intestato. Non credo che si arrenderà. Anche perché, come mostrano i sondaggi, la maggioranza della popolazione israeliana sostiene le sue posizioni.

L’esercito israeliano ha spesso affermato di voler terminare la lotta a Gaza per dedicarsi alla minaccia di Hezbollah. È possibile che ciò accada ora?

Questo era il piano originario. Il problema è però che Hamas è del tutto indifferente alla sorte della sua stessa popolazione e non lascia terminare la guerra. Se considerassero le sofferenze che provocano agli abitanti di Gaza, si dovrebbero arrendere subito. Ma non lo fanno. Hanno appena ucciso alcuni degli ostaggi per cui era in corso un negoziato. Questo è il nemico con cui dobbiamo combattere.

Perché l’Egitto aiuta Hamas? Il regime attuale non è nemico della Fratellanza Musulmana di cui Hamas è una parte?

Per capire la politica egiziana su Gaza bisogna sapere che il deserto del Sinai è abituato da beduini, che non sono egiziani, parlano un dialetto arabo diverso, vicino a quello saudita, hanno un’altra cultura e in sostanza odiano l’Egitto. Hanno fatto saltare più volte i gasdotti e gli oleodotti egiziani che attraversano il Sinai, per ottenere dal governo denaro come riscatto. Hanno ricattato il governo egiziano per molti anni. Per questa ragione l’Egitto ha consentito loro di contrabbandare armi, munizioni e missili dall’Iran a Gaza, cosa che procura loro lauti guadagni. Ci sono informazioni per cui il figlio del presidente egiziano Al Sisi sarebbe  coinvolto in questo contrabbando, sicché esso è una fonte di guadagno per la famiglia del presidente. Come per i beduini. Oggi l’Egitto teme che se questo traffico si interrompesse, i beduini riprenderebbero a far saltare gli oleodotti. Questa è la ragione per cui l’Egitto non vuole che Israele resti sul suo confine con Gaza.

Ma c’è qualcuno anche in Israele che è contrario a conservare questa posizione? Per esempio il ministro della difesa Gallant si è pronunciato con forza in questo senso.

Io credo che ci siano forti pressioni americane su Gallant e su Gantz in questo senso.

Lei ha sempre suggerito che il solo modo di governare Gaza e anche i territori oggi amministrati dall’Autonomia Palestinese in Giudea e Samaria fosse affidarli alle tribù locali. È una soluzione ancora valida dopo tutto quel che è accaduto?

Sì, questa è la sola soluzione, perché le famiglie e i clan sono lì, controllano il territorio. Se Israele delegasse loro il potere, la situazione sarebbe molto migliore che un’amministrazione dell’Autorità Palestinese o naturalmente di Hamas.

Ma quando Israele ha iniziato un dialogo con le tribù di Gaza, Hamas ha ucciso subito alcuni dei suoi capi.

Questa è una prova della correttezza del mio ragionamento. Li ha uccisi perché li vedeva come un pericolo. Bisogna lavorare con loro, dar loro forza, creare un clima di buona volontà con loro. Il problema è che gli americani sono contrari, perché non hanno idea di come funziona il Medio Oriente, come si è visto in Iraq e anche in Afghanistan e pensano che l’Autorità Palestinese potrebbe essere recuperata e riformata. E soprattutto hanno investito molto sull’Autorità e non vogliono perdere l’investimento.

Hanno investito molto anche sull’Iran…

Questa è una cosa che davvero non capisco: perché gli americani sono così schierati dalla parte dell’Iran. Eppure dovrebbero sapere come l’Iran opprima la sua stessa gente, cerchi di procurarsi armi atomiche… ma purtroppo l’amministrazione americana pensa ancora che l’Iran è un paese pacifico. Ma non sono i soli: anche l’Italia fa molti affari con l’Iran…

Tutto ciò fa parte dell’isolamento internazionale di Israele. Quale ne è la causa secondo lei? L’antisemitismo?

L’antisemitismo è la prima ragione. La seconda ragione è che la migrazione islamica, per esempio nei paesi europei, influenzi i decisori del sistema politico, perché essi naturalmente vogliono essere rieletti con l’appoggio degli immigrati che votano. Per loro va benissimo se Israele paga il prezzo, pur di essere rieletti.

Che cosa possono fare gli ebrei in Europa per aiutare Israele?

Io credo che tutti in Europa, non solo gli ebrei, dovrebbero sempre ricordare che Israele è il bastione di difesa della civiltà occidentale  nel Medio Oriente. Se Israele cadesse come vogliono i jihadisti, l’Italia, la Grecia, la Spagna sarebbero attaccate subito. Sarebbero così incoraggiati da questa vittoria nella loro convinzione di poter sconfiggere tutti gli infedeli, che assalirebbero subito l’Europa. Lo dicono loro stessi con grande chiarezza, l’Isis ha detto spesso che dopo aver preso Costantinopoli, cioè la cristianità orientali, prenderanno Roma, cioè la cristianità occidentale; e io credo che questa sia la loro intenzione. Dobbiamo tenerlo in mente.

 

Qui il video della serata con la traduzione in italiano
N.B.: per problemi tecnici le riprese video iniziano al minuto 3, ma è udibile l’audio.

 

Qui il video in inglese
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