di Redazione
Leonard Bernstein: curiosità, sorprese e segreti del grande compositore, direttore d’orchestra e pianista ebreo americano, spiegati dal musicologo Gianni Gualberto
Passato alla storia per la sua colonna sonora del musical West Side Story così come per la passione e il rigore che lo contraddistingueva come virtuoso pianista e come direttore d’orchestra, l’incontro tenutosi domenica 18 febbraio su Zoom e organizzato da Kesher ha svelato al pubblico svariati elementi poco conosciuti su questo personaggio così complesso e magnetico.
A cominciare dalla sua non facile identità ebraica, con un padre ucraino ortodosso e molto duro specialmente riguardo alle sue inclinazioni artistiche e una madre polacca assai più dolce e permissiva, per arrivare alle peculiarità della sua musica, profondamente americana e indubbiamente molto ebraica e al contesto storico in cui visse i suoi settantadue anni di vita prima di spegnersi il 14 ottobre 1990.
Questi sono stati solo alcuni degli argomenti dell’incontro che, introdotto e organizzato da Paola Hazan ha avuto come protagonista Gianni Morelembaum Gualberto, brasiliano naturalizzato italiano e musicologo, direttore artistico di varie importanti manifestazioni, come Aperitivo in concerto e talent scout di vari talenti dal Jazz alla musica contemporanea. All’incontro hanno partecipato anche l’assessore alla Cultura della Comunità ebraica milanese Sara Modena e il giornalista, scrittore e conduttore Roberto Zadik , che nel suo intervento non solo ha introdotto Gualberto ma ha sviluppato alcune domande su quale fosse la personalità di Bernstein e quale fosse il suo rapporto con l’ebraismo.
Prima di lasciare la parola all’esperto, l’assessore comunitario Sara Modena ha evidenziato la vasta esperienza di Gualberto in campo musicale, ricordando fra i vari incarichi da lui ricoperti non solo le sue attività di docente alla Bocconi e ora in Brasile ma anche la sua opera di ideatore e di direttore dell’Etno Festival di Catania e che in tema di Bernstein “ha collaborato con lui all’inizio degli anni Ottanta” passando poi la parola a Roberto Zadik.
Presentando Gualberto e ricordando “l’amicizia molto profonda e forte che ci lega” ha ricordato come Gualberto “mi abbia introdotto al concetto di musica contemporanea e alla complessità e alla fusione così ben rappresentata da Bernstein fra contemporanea, classica, direzione orchestrale e virtuosismo pianistico”. Nella sua esposizione Zadik ha rievocato la loro stretta collaborazione di questi anni, dai concerti di Jazz e etnica israeliana al Teatro Manzoni fino a quando 23 febbraio 2020 “poco prima del flagello del Covid” abbia reso omaggio sul palco del Teatro Parenti alla grande Ofra Haza introducendo il concerto del pianista jazz israeliano Avishai Cohen.
Sul lato ebraico di Bernstein, la sua religiosità e il rapporto con Israele: Gualberto ha approfondito “non solo il Bernstein artista, ma anche il lato ebraico, in un compositore che più di tutti riuscì ad esprimere questa sua ebraicità diventando direttore della Israeli Philarmonic Orchestra. Ma anche il suo forte senso dell’umorismo, la sua vena scanzonata e autoironica e la sua vitalità, come quando dirigeva con grande passione le opere del compositore Gustav Mahler.
Gianni Gualberto ha iniziato la sua relazione mettendo in rilievo la “vera genialità di Bernstein, personaggio di tale importanza non solo culturale che come dicono gli inglesi è stato più grande della vita, che ha avuto la fortuna di vivere in un periodo in cui i direttori d’orchestra avevano un forte impatto nella società, diffondendo il fascino del mondo musicale”. Era un personaggio molto complesso, vicino e distante allo stesso tempo e la sua musica è stata strettamente connessa alla vita ebraica che ha condotto.
“Egli è stato prima che internazionale, nazionale per quanto conosciamo del mercato americano, con le star che arrivano grazie al concertismo e al capitalismo e gli Usa essendo un Paese enorme hanno avuto bisogno dei concerti e delle tourneè nate in America così come degli spettacoli nell’esercito. Il successo di Bernstein fu specifico e tipico di un momento ben preciso”.
Ma come è stato il rapporto del compositore con l’ebraismo? “I genitori venivano da famiglie ultraortodosse e soprattutto il padre era molto rigido, gli scivolò la kippà dalla testa da bambino e si beccò una serie di randellate per questo suo errore. Il padre era immerso nella cultura chassidica, e vedeva nella musica una forma da esercitare solo nel ristretto contesto religioso”. L’analisi di Gualberto non si è limitata al personaggio ma ha coinvolto anche il contesto americano e degli ebrei di quel tempo “che si trovavano in una società completamente diversa dal loro contesto originario e la religione era una roccia per non farsi trascinare da una corrente laica, ostile e polietnica. Era ebreo bostoniano, con un fondo di snobismo, e veniva da famiglia benestante e ha aderito a suo credo famigliare in un contesto difficile. Il padre avviò una redditizia attività commerciale di oggettistica e prodotti per parrucchieri, mentre la madre era una donna sensibile e colta che stranamente soffrì del benessere che aumentò quando il marito inventò una colla per tenere ferme le parrucche e in quell’epoca dagli anni ’30 agli anni ’70 aveva molta importanza”.
Però nessuno dei figli voleva dedicarsi alle parrucche ma “voleva partecipare alle attività culturali di una città snob come Boston e per questo Leonard studiò alla Latin School e poi entrò ad Harvard in cui fu il primo artista ebreo a dare lezioni con un inglese perfetto“. “La sua vita – ha specificato Gualberto – inizia con un urto con la religione e suo padre che, schernendolo, lo definiva un pianista da intrattenimento mentre sua madre aveva capito il talento del figlio, uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo e un pianista che si concedeva il lusso di dirigere pezzi da pianoforte molto difficili evocando la musica coi movimenti del corpo”. Nel suo discorso egli ha insistito sulla fisicità, sul carisma e sul sex appeal di Bernstein e quando nel “mambo di West side story mostrò le sue sbalorditive doti espressive”.
A questo proposito egli ha aggiunto “non si era mai visto precedentemente un direttore d’orchestra che si muovesse con tutto il corpo in un ballo sincopato ed era decisamente spettacolare assistere ad uno spettacolo del genere”. L’ultima parte dell’incontro è stata scandita dalle domande di Zadik sulla personalità e l’identità ebraica del compositore, sul suo carattere “sicuramente complesso e contraddittorio” come ha ricordato Gualberto e su opere fondamentali e imperniate di ebraicità come le sinfonie Kaddish e Jeremiah ispirata al celebre profeta biblico e gli emozionanti Chichester Psalms che arrangiati dai Tehillim, dai Salmi del Re Davide dal testo originale in ebraico e composti per voce, coro e orchestra vennero presentati ormai quasi sessant’anni fa per la prima volta nel luglio del 1965 e successivamente eseguiti nella Cattedrale di Chichester.
(Foto: Wikimedia Commons. Autore: Alumnoconservatoriofalla)