di Maria Eleonora Tanchis
Albania paese-rifugio per gli ebrei? Tirana città aperta per gli ebrei fuggiaschi nell’Europa in fiamme del Secondo conflitto mondiale? Non proprio. Che sia venuto il tempo di sfatare un mito o perlomeno un luogo comune della vulgata storica corrente lo dimostra un libro fresco di stampa e pregevole per la ricchezza di documentazione storica e approfondimento d’analisi. Stiamo parlando di “Gli ebrei in Albania sotto il fascismo. Una storia da ricostruire”, una raccolta di saggi appena pubblicata da Giuntina (14 euro), e curata da due storici della Fondazione CDEC di Milano, Laura Brazzo e Michele Sarfatti.
Innanzitutto cominciamo a dire che la questione degli ebrei in Albania prima e durante la Seconda guerra mondiale è un tema che, per varie ragioni – a partire dalla difficoltà di reperire le fonti – ha cominciato ad interessare gli storici solo in anni recenti. Le prime prime ricerche insieme alle testimonianze dei sopravvissuti hanno portato alla luce elementi di un certo interesse, fra cui quello ormai noto della protezione offerta dalla popolazione locale (per lo più musulmana) agli ebrei rifugiati in Albania durante l’occupazione tedesca. Nessun ebreo è stato deportato dall’Albania, nessun ebreo che si trovasse in Albania fra il 1943 e il 1945, è stato vittima della Shoah, si dice spesso.
La novità del libro curato da Brazzo e Sarfatti riguarda però non tanto gli anni fra il 1943 e il 1945, ma piuttosto quelli dell’occupazione italiana, fra l’aprile del 1939 e l’8 settembre del 1943.
Il primo dato interessante che emerge dal libro riguarda il numero degli ebrei in Albania al momento dell’occupazione italiana: poco più di 300. Un numero quanto mai ridotto, se si pensa che l’ex console americano Bernstein aveva dichiarato già nel 1935 che l’Albania era una terra dove non esisteva antisemitismo e se si pensa che la Società delle Nazioni, nello stesso periodo aveva ipotizzato di fare dell’Albania un ricovero per i profughi ebrei della Germania.
Nell’aprile del 1939 l’Italia fascista conquistò il Regno d’Albania che divenne territorio annesso all’Impero italiano tramite l’unione delle due corone.
Temevano “di giorno in giorno di vedere precipitare la propria situazione” scrive un ebreo albanese, Rafael Jakoel, ricordando quei mesi.
Le cose però se peggiorarono, non precipitarono del tutto. Il perchè lo spiega Michele Sarfatti il cui saggio contiene appunto una delle più importanti novità storiografiche sull’Albania del periodo fascista, di questi ultimi anni.
Nel 1939, poco dopo l’occupazione, gli italiani avevano pensato di estendere le leggi razziali all’Albania. Roma intendeva far adottare all’Albania misure “per quanto possibile identiche a quelle esistenti in Italia” segnala Sarfatti. Tra Roma e Tirana fu preparata una bozza di decreto sugli ebrei stranieri, che prevedeva, fra l’altro, l’espulsione nel giro di un mese dalla data di emanazione, la revoca delle cittadinanze concesse in qualunque tempo e il divieto di stabilire fissa dimora in Albania. Questa bozza fu rielaborata, ripensata, ma alla fine sospesa su ordine di Roma. Essa cioè non entrò mai a far parte della legislazione albanese.
Nello stesso periodo in cui a Roma si lavorava a questa bozza di decreto, a Tirana il Ministero degli Interni ordinava alla prefetture il censimento di tutti gli ebrei presenti sul territorio, sia stranieri che con cittadinanza albanese. Ciò in vista di una “disposizione di prossima pubblicazione”. Insomma, le autorità albanesi sembravano pronte ad accogliere senza troppe (nessuna!) proteste una legislazione di tipo antiebraico.
Alla fine del 1940 però nessuna disposizione era stata presa. Come riferisce Sarfatti, la luogotenenza in Albania nel 1940 informò il consigliere permanente di polizia albanese che il Ministero dell’interno italiano non riteneva opportuno per quel momento estendere all’Albania le disposizioni di legge sulla razza esistenti in Italia. Forse si trattò di un rinvio ulteriore più che di un annullamento. Rimane il fatto, come osserva ancora Sarfatti, che furono gli italiani e non gli albanesi a decidere di non imporre all’Albania una legislazione antiebraica.
Questa decisione, presa direttamente da Roma, conclude Sarfatti, è un fatto notevole rimasto finora del tutto ignoto. Il senso di questa “scoperta” alla fine è chiaro: è vero che la popolazione albanese non esitò a proteggere gli ebrei dalla furia dei tedeschi, ma è vero anche che le autorità albanesi erano disposte e pronte ad adeguarsi all’antisemitismo di Stato senza troppi scrupoli.
Fu dunque innanzitutto la decisione italiana del 1939 e poi del 1940 a far sì che la situazione degli ebrei in Albania (e l’Albania stessa) si configurasse come un unicum rispetto al resto dei Balcani, sia nei territori occupati dall’Italia, sia in quelli occupati dalla Germania. Ora però rimangono da capire i motivi di una decisione tanto determinante quanto unica ed “anomala”. Per questo aspettiamo al più presto un nuovo libro.
Laura Brazzo, Michele Sarfatti ( a cura di)
Gli ebrei in Albania sotto il fascismo. Una storia da ricostruire
Giuntina, Firenze 2010,
€ 14.00