Adelaida Gigli, una storia tra due mondi: dall’Italia all’Argentina dei Montoneros

Libri

di Emanuele Calò

Adrián N. Bravi, ADELAIDA, Nutrimenti, Roma, 2024, euro 17. Semifinalista Premio Strega

Il libro narra le vicissitudini di Adelaida Gigli, un’artista nata (1927) e morta (2010) a Recanati. L’arte fu il suo contesto: era figlia dell’importante pittore Lorenzo Gigli,  nipote del tenore Beniamino Gigli e moglie dello scrittore David Viñas, figlio di un’ebrea di Odessa, col quale avrà due figli, Maria Adelaida (detta Mini) e Lorenzo Ismael.  Lorenzo Gigli, quando parte per l’Argentina, affida pressoché tutte le sue opere a un amico, Segretario locale del PNF; a guerra finita, se ne impossesseranno alcuni dirigenti del CLN.  In mezzo alla vita e alla morte, accomunate nello spazio, quasi non si fosse mossa, c’è  l’Argentina, dove si sviluppa il passaggio dal ditirambo alla tragedia.  In mezzo ai tempi argentini, si inserisce, per un breve periodo, il Venezuela. In comune con le diverse fughe (dall’Italia, quand’era bambina, poi dall’Argentina, poi dal Venezuela poi, ancora, dall’Argentina) c’è la politica: in qualche modo, si scappa da destra verso sinistra. I figli di Adelaida erano militanti dei Montoneros, una guerriglia sanguinaria, dai contorni ideologici eterogenei, fatti, anche ma non soltanto, di peronismo, nazionalismo, comunismo e cattolicesimo. Adelaida, invece, non era d’accordo con la lotta armata e ne discuteva con la figlia: “Mini però … voleva vivere in un paese libero… senza il peso di una dittatura schiacciante“; sennonché, per i Montoneros la democrazia era un gingillo borghese (Ceferino Reato, Operación  Primicia, El ataque de Montoneros que provocó el golpe de 1976, Editorial Sudamericana, Buenos Aires, 2010, p. 15). I Tupamaros in Uruguay e i Montoneros in Argentina agirono contro la democrazia, della quale provocarono il collasso, anche se la narrazione è talvolta quella opposta, e in questo spicca la figura dell’ex Presidente uruguagio José Mujica, un guerrigliero visto come un’icona della lotta per la libertà, anche se aveva mosso guerra contro una democrazia. Il villaggio globale non è d’ostacolo alla diffusione di narrazioni paradossali ma, al contrario, ne costituisce un formidabile propulsore.

 

Per via del tragico epilogo, Mini sfocia in una storia un po’ ebraica, perché durante la Shoà ci sono stati tanti episodi analoghi: si reca in uno zoo di Buenos Aires, dove ci saranno alcuni compagni coi quali “condividere lo stesso dolore” non meglio identificato, e lì  capisce di essere braccata dall’esercito. Corre all’impazzata finché s’imbatte in una coppia anziana, alla quale consegna la figlia di otto mesi. La bambina si salverà e, dopo molte vicissitudini, sarà restituita ai nonni paterni, gli ebrei Goldenberg.  Mini, invece, non si salva. Viene uccisa, ma l’omicidio è codardo e viene inserita fra gli scomparsi, i desaparecidos. Il fratello Lorenzo, tenente dei Montoneros, morirà quattro anni dopo, probabilmente gettato in mare coi voli della morte.

 

La tragedia greca si tinge, però, dei colori dell’incertezza.   Come sarebbe stato il mondo montonero, se avessero vinto?  Sul loro programma si è scritto: “Montoneros non riteneva necessario discutere un programma, in quanto esso era stato costruito storicamente dal peronismo” (Julieta Pacheco, VIII Jornadas de Sociología de la UNLP, La Plata, 2014) così come si è disquisito di “Scopi chiaramente politici basati sull’instaurazione in Argentina di una repubblica comunista totalitaria di tipo sovietico o cinese” (José Manuel Azcona, La pasión revolucionaria y marxista: el caso de los Montoneros en Argentina (1970-1976), Revista Electrónica Iberoamericana. Vol. 8, n. 1, 2014, p. 8).

 

In ogni caso, non era una lotta per conquistare la libertà, ma per inverare una società di cui non avevano mai abbozzato i contorni, anche se la lunga scia di sangue lasciata avrebbe consentito, dai metodi, di risalire agli scopi.  Nel libro, tutto ciò riceve qualche timido accenno, sovrastato però dall’immagine di un combattimento per la libertà.  Nella realtà, chi combatte in queste guerriglie rimuove gli scopi finali, che non vengono mai delineati se non in modo generico, in favore di un ideale di giustizia sociale che si rifugia nel solo pauperismo e che spesso diventa, nel profondo inconscio, la lotta di una piccola borghesia per instaurare una dittatura che consenta al suo stato maggiore il benessere che un paese sottosviluppato non potrebbe mai offrire.

 

Non credo che i guerriglieri volessero diventare operai e contadini: amavano queste due categorie ma non abbastanza da voler diventare come loro.  La loro provenienza ideologica, secondo Richard Gillespie risaliva, prevalentemente, all’Azione Cattolica e ai neonazisti di Tacuara (“invocano la forca per gli ebrei“; J.P.Feinmann, Timote,Planeta, Buenos Aires, 2009, p. 58) mentre erano pochi quelli che venivano dalla sinistra o dal peronismo (Soldiers of Perón –  Argentina’s Montoneros, Clarendon Press – Oxford, 1982, p. 47) .  Il Generale Juan Domingo Perón raccontava che durante uno dei numerosi colpi di Stato argentini, fermò nel cortile della caserma un militare che portava una bandiera arrotolata. Gli domandò cosa volesse farne e costui rispose “è per i ragazzi, signor Generale”. Dentro, però, c’era una macchina da scrivere (Perón, los gorriones y la providencia in: Nosotros  decimos no, Siglo XXI de España Editores, S.A., Madrid, 2010).  I guerriglieri portavano con sé un bottino virtuale. Di cosa fosse fatto non si saprà mai. Questo è il dramma. Lo è perché non esiste peggior dolore dell’incertezza incipiente, e questo l’autore potrebbe non saperlo, anche se lui stesso è argentino e forse dovrebbe cercare di accertarlo. Intanto, nelle molte recensioni e nelle molte interviste, nessuno che da noi si sia posto il quesito: per quali dei mondi futuri si batteva la famiglia? Non è un dettaglio, perché  questo lunghissimo viaggio pretendeva di imbarcare tutti noi. Questo libro non è arrivato fra i sei finalisti, ma comunque ha potuto godere di una giusta visibilità.  Nel 2019 presentai al Cinema Farnese “Una notte di dodici anni” un film sui Tupamaros dell’ebreo uruguagio Alvaro Brechner.  Non volendo deludere delle romantiche signore, ho evitato di dire cosa fossero i Tupamaros e quali danni avessero provocato. Evidentemente – si fa per dire – ho fatto scuola.  La brutalità, l’efferatezza, la disumanità e l’ingiustizia delle dittature rendevano necessaria una lotta per la libertà e per i diritti umani,  non una lotta per una dittatura, per quanto bella potesse sembrare.

Infine, si è affacciata in Argentina la c.d. “teoría de los dos demonios“, secondo la quale, inserendo nei due piatti virtuali della bilancia la “guerra sporca” dei militari e quella dei Montoneros, la lancetta punterebbe verso una sostanziale equipollenza (contra: Juan Gasparini, Montoneros: Final de Cuentas, Punto Sur, Buenos Aires, 1988, p. 200). Probabilmente vi è, alla sua base, un inammissibile errore di fondo, se non addirittura un intento malevolo. L’azione aggressiva (Montoneros) e quella repressiva (militari) sono così diverse da rendere corriva non solo l’equiparazione ma pure la ricerca di analogie. Una siffatta semplificazione contrasta col metodo scientifico e, probabilmente, non giustifica nemmeno quel rilevante impegno per la sua confutazione al quale abbiamo assistito nel Río de la Plata. Ciò posto, consigliamo la lettura di Adelaida, ma non necessariamente da soli ma, se possibile, con la compagnia virtuale di Carlos Rangel. Quanto agli aggressori/vittime, non è semplice giudicarli: loro credono fermamente di battersi per un ideale, senza farsi troppe domande e la barca su cui salgono altro non è che un gruppo di persone che si sostengono a vicenda. Il crimine, però, è inscindibile dall’errore, per il quale capita una volta e l’altra pure di dover pagare. Il critico o l’autore fanno parte di un altro contesto, privo di indulgenza e se vogliono scambiarsi coi protagonisti vuol dire che mancano di prospettiva. Nel loro caso, la pena è lieve e si chiama stroncatura.

Nel 1999, Recanati dedica il Giardino delle parole interrotte alla memoria di Mini e Lorenzo. L’autore ne informa il padre, David Viñas, il quale ringrazia e risponde citando, di Jorge Luis Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, dedicato a Victoria Ocampo, fondatrice della rivista Sur, antiperonista ed elitaria (“an elegant fusion of fiction, poetry, philosophy, plastic arts, and social commentary “, secondo John King, Towards a Reading of the Argentine Literary Magazine Sur, Latin American Research Review. 1981, p. 57) e alla quale era contrapposta la proletaria Contorno, fondata dalla nostra Adelaida. Sennonché, nel Giardino.., Borges allude a “la novela caótica“, che troppo s’apparenta alla tragica vita della famiglia di Viñas.  King annota che “Marsal in his analysis of Argentine and Mexican essayists (..) divides them into two groups, based on their father’s occupation: either (a) “clase alta y/o media acomodada” or (b) “clase media que no alcanza a ser acomodada,” but comes to no positive conclusions”. E qui si chiude il cerchio, con la lettura che abbiamo abbozzato.