di Ugo Volli
Chiunque si occupi della storia di Israele, dai tempi biblici fino ad oggi, non può non rimanere colpito dalla lunga durata del rapporto degli ebrei con la terra loro destinata, ma anche dall’instabilità, dalla sequenza di aggressioni e di assalti subita dagli stati ebraici in Israele ad opera di ogni sorta di nemico: filistei, egizi, assiri, babilonesi, greci, romani, arabi… Se uno confronta tanta turbolenza con la vita di qualunque nazione europea o mediterranea, si palesa un ritmo anomalo, un’insicurezza continua. Per quanto riguarda l’antichità, la tradizione delle scritture ebraiche attribuisce molte di queste sciagure – e anche le più gravi, le due distruzioni del Tempio -, alle punizioni divine per il cattivo comportamento del popolo ebraico e dei suoi governanti. Senza la pretesa di discutere questa visione teologica della storia di Israele, è interessante però anche esplorarne la dimensione geopolitica, perché essa ci dice molto sulle vicissitudini degli antichi stati ebraici e pure sulla situazione attuale.
La terra di Israele è uno snodo fondamentale nelle comunicazioni est-ovest e in quelle nord-sud della regione costiera sudorientale del Mediterraneo. La “Via Maris” che collegava le grandi potenze rivali dell’antichità, l’Egitto e gli imperi mesopotamici, trova in Israele la sua stazione centrale, il punto in cui si distacca dalla costa per penetrare all’interno; ma la costa israeliana è anche il terminale più comodo delle vie carovaniere che dall’Arabia (e più in là dall’Oceano Indiano) arrivavano sul Mediterraneo: due vie fondamentali per l’antichità e ancora oggi. Si forma così una sorta di T che ha in Israele il suo incrocio centrale. Questo nodo strategico è controllato dall’alto da Gerusalemme, fondamentale piazzaforte di montagna al centro delle colline di Giudea e Samaria, difficile da catturare. Ma ha uno snodo importantissimo a Megiddo, l’antichissima fortezza che 80 chilometri più a Nord controlla la valle di Jezreel, la quale separa le alture della Samaria da quelle della Galilea, ma soprattutto dà il passaggio più comodo dalla valle del Giordano (Beit Shean) al Mediterraneo (Acco) su cui si inoltrano sia la Via Maris che le carovaniere per Gerico e l’Arabia.
Non a caso fra Megiddo e il monte Tabor, al di là della valle, si sono svolte 35 grandi battaglie negli ultimi 4000 anni di storia e proprio qui un’antica tradizione ebraica (poi ripresa dall’Apocalisse cristiana) colloca la battaglia finale fra Bene e Male, quell’”Armageddon” che non è altro se non la trascrizione deformata dell’ebraico Har Megiddo (“monte di Megiddo). Vale la pena leggere il libro dedicato a questo luogo dallo storico e archeologo della Washington University, Eric Cline (Armageddon, Bollati Boringhieri) per vedere come dal Faraone Thutmose III nel 2350 a.E.V. fino al generale inglese Allenby nel 1917, passando per Giosué, Deborah e Barak, Gedeone, i re Saul e Gionata, Saladino, Napoleone, sulla piana fra Megiddo e il Tabor si siano decisi i destini di molte nazioni e le vicissitudini di Israele, spesso con l’uso di tattiche simili. La conclusione è che chi controlla Megiddo e in termini più ampi Israele, per piccole che siano queste realtà in termini assoluti, ha in mano il collegamento necessario fra le nazioni del Medio Oriente, che da sempre è uno dei centri del mondo. Anche per questo la piccola Israele è il punto centrale del Medio Oriente, che le potenze del mondo vorrebbero dominare e che invece resta ostinatamente autonomo.