di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Confessiamolo: noi ebrei siamo innamorati della nostra storia, anzi delle nostre tante storie, e non possiamo fare a meno di continuare a raccontarle.
In fondo anche le nostre Scritture, a partire dalla Torà, sono in larga parte il racconto di come un clan familiare andò in esilio, divenne un popolo, conquistò una terra e la difese per un millennio dai grandi imperi vicini, la perse e poi vi ritornò dopo l’esilio babilonese. Il seguito, lo sappiamo, è pieno di altre tragedie e altri miracoli, fino alla recente riconquista della libertà sulla nostra terra. Sono storie che abbiamo letto tante volte e non ci stanchiamo di risentirle e di ripensarci. Per chi condivide questa sete di racconto e di identità, voglio segnalare la grande opera di Simon Schama, La storia degli ebrei, di cui Mondadori ha appena pubblicato il secondo volume, L’appartenenza – dal 1492 al 1900, dopo aver fatto uscire nel 2014 il primo In cerca delle parole – dalle origini al 1492. Insieme sono 1400 pagine, che si leggono davvero tutte di un fiato, tanto sono ben scritte, ricche di informazione e originali. Schama è un ebreo inglese, e dalla cultura britannica ha preso il sense of humour e l’empirismo, la diffidenza per le teorie generali e l’amore per i dettagli; è un grande storico dell’arte, che conosce il valore della cultura e l’importanza dei simboli, delle storie, dei personaggi ben riconoscibili. Da questa base culturale e dal suo grande talento di narratore viene fuori non una storia generale, non un’opera teorica, giuridica, economica, costruita su analisi generali di cui i fatti concreti e i personaggi siano solo sintomi, indizi, prove; ma una catena di narrazioni individuali che ritraggono un personaggio, una famiglia, un ambiente, un intreccio di eventi. Da qui naturalmente apprendiamo o riconosciamo i problemi e le epoche, l’insediamento ebraico nella diaspora, la catastrofe della distruzione del Tempio, l’antigiudaismo cristiano, le accuse del sangue, gli esili e le cacciate, il marranesimo, gli splendori di certi momenti culturali, le interazioni con i Paesi di accoglienza e poi la kabbalah e il hassidismo, l’illuminismo ebraico e l’intraprendenza economica, l’assimilazione e la Shoah e la rinascita di uno Stato ebraico. Ma tutto sommato questo livello generale, dominante nella grande maggioranza della storiografia, non è quel che importa di più a Schama o ai suoi lettori. Sono le persone, gli ebrei singoli che vengono raccontati, le donne coraggiose e gli artisti innovatori, i mercanti e gli studiosi, i falsi messia e i viaggiatori, i banchieri e i visionari, che spesso convivono in un intreccio concreto di destini incrociati in mezzo a una società estranea anch’essa complessa ma per lo più ostile o almeno diffidente. Raramente la nostra sete di storie viene soddisfatta con altrettanta generosità e in maniera così sontuosamente concreta. Ma non senza morale, perché sotto tutte le trasformazioni degli ebrei, sotto le vicissitudini, le santità e i tradimenti, sotto la perenne fatica della sopravvivenza si testimonia una molte volte millenaria fedeltà collettiva, una volontà di mantener vivo il messaggio e l’identità di Israele e di mantenere o ritrovare un luogo in cui finalmente essere apertamente se stessi.