di Ugo Volli
Alle radici del risentimento arabo contro gli ebrei (laddove la nascita dello Stato d’Israele non c’entra nulla)
Dopo la Shoah e la conclusione della guerra in Europa, ci fu un periodo di latenza piuttosto lungo prima che fosse possibile testimoniare e ragionare non dei crimini politici e militari dei nazisti in generale – l’argomento del processo di Norimberga -, ma di quelli commessi specificamente contro il popolo ebraico. Lo testimonia, per fare un solo esempio, la difficoltà iniziale che incontrò Primo Levi a pubblicare Se questo è un uomo presso un editore “impegnato” come Einaudi, che più di dieci anni dopo il primo rifiuto, cambiò idea e ne ricavò un grande successo culturale ed economico. Solo con il processo Eichmann, cioè per merito di Israele, contro l’opinione di settori della diaspora americana come quelli rappresentati da Hannah Arendt, la Shoah finalmente si impose alla coscienza dei popoli come il crimine centrale ed emblematico del nazismo.
Qualcosa del genere è accaduto anche con un secondo grande disastro subito dal popolo ebraico nel XX secolo: la distruzione di comunità ebraiche millenarie che vivevano nel mondo musulmano e soprattutto arabo, che – anche senza bisogno di stragi di massa – fra il 1945 e il 1967 rese “judenrein” regioni abitate per migliaia d’anni dagli ebrei e ne costrinse all’emigrazione forzata circa un milione, nettamente di più degli esuli arabi della guerra di indipendenza di Israele.
Ma mentre quest’ultimo esilio in buona parte autoinflitto, chiamato “Nabka”, “disastro”, è stato abbondantemente propagandato dai mass media e dai politici, dell’esodo degli ebrei orientali da Egitto e Mesopotamia, Yemen e Marocco, Iran e Tunisia, Siria e Algeria si è parlato pochissimo in pubblico per decenni, anche da parte ebraica. Ora il muro del silenzio si è finalmente rotto e anche in Italia comincia ad apparire una pubblicistica importante, che ne analizza le forme e le cause. Qualche tempo fa ho parlato su queste pagine del libro di Vittorio Robiati Bendaud La stella e la mezzaluna, che segna un passo importante in questa direzione.
Adesso voglio segnalare un libro piccolo ma prezioso di Georges Bensoussan, non a caso rinomato storico della Shoah, ma nato in Marocco e dunque coinvolto in prima persona in questa storia, che racconta Gli ebrei del mondo arabo come “argomento proibito”, che è il sottotitolo del libro.
Bensoussan in questo libro è meno sistematico di Bendaud e si limita agli ultimi 200 anni. Ma presenta una documentazione abbondante e concordante, e la organizza con grande lucidità e intelligenza. Mostra come in tutto il mondo islamico sia sempre stata in vigore la regola di origine coranica secondo cui gli ebrei dovevano essere magari non sterminati, ma certamente umiliati, impoveriti, maltrattati in tutti i modi. Il che condusse molto spesso a una terribile paura, miseria e perfino abiezione della popolazione ebraica.
Spiega che il violento antisemitismo cui assistiamo ancora oggi nel mondo islamico non deriva tanto dalla costruzione dello Stato di Israele, ma ancor prima dall’emancipazione di questa plebe ebraica, che grazie alla presenza occidentale riuscì a risollevarsi dopo 1500 anni di oppressione e a raggiungere un’esistenza dignitosa – il che fu visto dalle masse arabe e dai notabili come la minaccia di una concorrenza imprevista e la sottrazione delle vittime tradizionali su cui sfogare il proprio bisogno di superiorità. Il minimo di benessere e di uguaglianza raggiunto dagli ebrei era di per sé percepito come un insulto ai musulmani, da vendicare e possibilmente cancellare. Quando i Paesi arabi raggiunsero l’indipendenza o, come in Algeria, vollero direttamente espellere gli ebrei – ritenuti complici del colonialismo perché questo li aveva emancipati dalla loro tragica oppressione -, o quando ancora gli arabi cercarono di restaurare la dhimmitudine o sottomissione ebraica, la cosa finì per provocare la fuga di una popolazione che non era disposta a farsi di nuovo maltrattare e privare di ogni diritto.
Il libro di Bensoussan, anche se non è sistematico, e nonostante qualche sciattezza di traduzione, è così ricco di storie, di dettagli, di episodi e di documenti che si legge con grande emozione e risulta assolutamente persuasivo. Va consigliato a tutti e in particolare a coloro che pensano che senza Israele i musulmani sarebbero (o siano stati in passato) accoglienti e tolleranti con gli ebrei (e anche con i cristiani): un’illusione oggi particolarmente pericolosa anche sul suolo europeo.