Berlino, Parigi, New York: le tre vite di Hannah Arendt

Libri

di Michael Soncin

Studentessa brillante, ragazzina fuori dal comune fin dai primi anni di scuola, visse la persecuzione antisemita, cambi di residenza e rocambolesche fughe.  Tra amore e Pensiero

Un romanzo a fumetti ripercorre la vita di Hannah Arendt, interamente illustrato in bianco e nero, eccetto lei, la protagonista, con il vestiario sempre e solo tinteggiato di verde, forse a simboleggiare la speranza; il tutto avvolto da nubi di fumo della sua inseparabile e tanto amata sigaretta.
Le tre fughe di Hannah Arendt è scritto e disegnato da Ken Krimstein, cartoonist che vanta diverse collaborazioni con testate come il New Yorker, Punch e per il Wall Street Journal. «A parte i momenti di vita reale, – scrive l’autore – Hannah Arendt visse nel linguaggio. L’insieme di parole, sia quelle che lei stessa ha scritto, sia quelle che sono state scritte su di lei, è un universo in continua espansione». Hannah Arendt non accettava l’idea di essere definita una filosofa; lei si considerava una politologa; eppure con i suoi scritti, ritenuti dei pilastri del Novecento, riuscì a essere entrambe le cose.

La banalità del male è l’opera, apparsa in prima battuta a puntate sul New Yorker che gode di più popolarità ai giorni nostri. È – come racconta anche il film Hannah Arendt di Margarethe Von Trotta del 2012 – la cronaca del processo al criminale nazista Adolf Eichmann, tenuto nel 1961 a Gerusalemme, e Hannah vi esprime un concetto limpido e preciso sull’origine del male in rapporto all’uomo ordinario, dove Eichmann viene preso come esempio per antonomasia; mentre con la precedente opera Le origini del totalitarismo del 1951, esplicò ciò che sta alla base del nazismo e dello stalinismo, collegandosi all’antisemitismo; un testo molto attuale anche oggi. Studiosa prolifica e trasversale, è conosciuta anche per i suoi lavori di analisi critica, che riguardano i personaggi della cultura greca, per la quale nutriva un grande interesse, oltre che per Immanuel Kant e Martin Heidegger, quest’ultimo, suo professore universitario e grande amore. Quando scoprì che Heidegger era coinvolto col nazismo, Hannah Arendt si dissociò da lui, senza riuscire tuttavia a spegnere del tutto i sentimenti che provava, oltre all’ammirazione come maestro. Ma lui non fu il suo unico amore: Hannah ebbe due matrimoni, il primo con il filosofo Günther Anders e l’altro con il poeta e filosofo Heinrich Blücher, con il quale fece la terza e ultima fuga, a New York, dove riuscì fortunatamente a portare anche Martha, sua madre.

Nata nel 1906 a Linden nei pressi di Hannover, e cresciuta a Königsberg, si trasferì a Berlino – la sua prima fuga -, dove frequentò il Romanisches Café, descritto come “la sala parto del mondo moderno” e, tra i tanti clienti noti, nella graphic novel di Ken Krimstein appaiono anche il pittore Marc Chagall, l’artista ebrea tedesca Hannah Höch cui si associa l’arte del fotomontaggio e Kurt Blumenfeld, figura emblematica del moderno sionismo.
Quando il nazismo iniziò ad affermarsi, Parigi rappresentò per Hannah la seconda fuga, prima ancora di attraversare l’Atlantico. Tra una città e l’altra furono molte le persone che incontrò, e uno fu il caro amico Walter Benjamin, ecclettico ebreo tedesco che influenzò molto il suo lavoro di pensatrice, morto suicida poiché preso dall’ansia mentre tentava di scappare dai rastrellamenti.
Queste sono solo alcune delle vicende narrate. Non una semplice storia, ma un romanzo grafico di grande bellezza, che immergerà il lettore nel racconto coinvolgendolo completamente.

Ken Krimstein,  Le tre fughe di Hannah Arendt – La tirannia della verità, trad. di Antonella Bisogno, Guanda Graphic, pp. 240, euro 20,00