di Cyril Aslanov
[Ebraica. Letteratura come vita] Nel dicembre del 1969, nel bel mezzo della guerra di usura (luglio 1969 – agosto 1970) quando ogni giorno cadevano soldati israeliani nelle casematte (ma’uzim) sulla sponda occidentale del Canale di Suez, la poetessa-cantante Naomi Shemer (1930-2004) andò a visitare una delle casematte di Tsahal e lì cantò in un modo semi-improvvisato una variazione attualizzata del famoso poema paraliturgico Ma’oz Tsur che si canta a Chanukkà dopo l’accensione delle candele. L’idea di connettere l’inno di Chanukkà con la guerra di usura le venne dettata dalla polisemia della parola ma’oz: “fortezza” nel contesto dell’inno; “casamatta” sulla sponda del Canale di Suez.
La versione originale di Ma’oz Tsur è formata da sei strofe che corrispondono ciascuna ad una delle dominazioni imposte a Israele: la dominazione greca; l’egizia; la babilonese; la persiana; di nuovo la greca e in fine quella di Edom (Roma), cioè la dominazione cristiana.
La versione attualizzata che Naomi Shemer fece di Ma’oz Tsur è conosciuta con il titolo di Shivhei ma’oz, “Lodi di una casamatta”. In questa rielaborazione dell’inno di Chanukkà, solo il primo verso Ma’oz tsur yeshu’ati, lekha naeh le-shabeah, “fortezza e roccia della mia salute, è bello lodarti”, venne ripreso tale quale. Le altre parole di Shivhei Ma’oz sono un adattamento libero alla descrizione della situazione di belligeranza sulla linea di fronte. Ogni strofa contiene 6 versi dei quali i quattro ultimi costituiscono un ritornello. Conviene riprodurli in traduzione italiana perché esprimono con una grande forza le due principali ossessioni di un soldato all’avamposto della difesa: nostalgia per la propria casa; angoscia di non potere mai più tornarci se il nemico posto di fronte ammazzasse il povero combattente nostalgico:
Verrò per gallerie, cittadelle e caverne/Per crepacci di rupi, per strade sterrate; / Ma da qualche parte (ei sham) in mezzo alla notte, pronto e silenzioso, / Mi spia colui che vuole la mia morte.
Questo ritornello ossessivo che occupa la più gran parte della canzone contiene l’avverbio di luogo indeterminato ei sham, letteralmente “da qualche parte là” che è entrato nel gergo militare di Tsahal in riferimento ad un luogo del quale non si può parlare per ragioni di confidenzialità militare.
Questa canzone di Naomi Shemer ha ricevuto un’ulteriore consacrazione un po’ meno di quattro anni dopo, quando le stesse casematte della sponda occidentale del Canale di Suez furono tra i primi avamposti israeliani attaccati senza dichiarazione di guerra dal nemico egiziano in quel fatidico primo pomeriggio della giornata di Yom Kippur 5734 (6 ottobre 1973). Dopo la morte tragica di tanti soldati (coscritti o riservisti) nelle casematte del Canale di Suez, le parole nostalgiche e angosciate del ritornello ricevettero purtroppo un significato di un’attualità bruciante.
L’utilizzo di un canto di Chanukkà a proposito delle casematte del Canale di Suez rivela la capacità della cultura israeliana a trasformare i contenuti tradizionali ebraici e a conferire loro un nuovo significato, che trascende la dimensione religiosa per raggiungere una portata nazionale.
Nel contesto degli anni Settanta questo canale di comunicazione fra l’inno paraliturgico e la canzone militare in una situazione di belligeranza larvata e poi palese, comportò due conseguenze:
– la volontà di distaccarsi dalla cultura religiosa tradizionale, pur conservando un ricordo della sua esistenza attraverso il recupero secolare di formule associate con il contesto cultuale (in questo caso il culto domestico nell’ambito del quale si festeggia Chanukkà);
– l’uso della religione in un contesto militare che porta alla quasi-sacralizzazione dell’eroismo bellico da parte della poetessa-cantante che aveva anche composto la famosa canzone Yerushalayim shel zahav “Gerusalemme tutta d’oro”, associata con la vittoria folgorante di Israele e la riunificazione di Gerusalemme nel giugno 1967.
Se rivolgiamo la nostra attenzione all’inno anonimo Ma’oz Tsur che si canta a Chanukkà si vede che al di là di questo recupero laico-nazionalista di contenuti religiosi, si manifesta una continuità che unisce l’identità israeliana alla tradizione ebraica. Come già menzionato sopra, le sei strofe dell’inno Ma’oz Tsur si riferiscono a cinque dominazioni, fra le quali quattro sono state superate con successo: la dominazione egizia dalla quale gli ebrei si salvarono grazie all’Esodo dall’Egitto; la dominazione babilonese alla quale Ciro mise fine nel 538 prima dell’era comune; il miracolo di Purim; la dominazione greca nell’ambito della quale successero i miracoli di Chanukkà.
Solo la dominazione romana (cristiana) era ancora d’attualità quando probabilmente verso il dodicesimo secolo, al tempo della seconda crociata (1147), uno sconosciuto chiamato Mordechai (come si vede dall’acrostico dell’inno) scrisse questo canto di speranza nella redenzione finale. Trasponendo queste aspirazioni alla redenzione messianica ad un contesto laicizzato, Naomi Shemer entrò nella coscienza del combattente di Tsahal per il quale la redenzione è semplicemente la gioia di tornare sano e salvo alla propria casa.