Da SS ad attori di Cinecittà: un libro racconta come veri nazisti parteciparono ai più famosi film del dopoguerra

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di Esterina Dana
Roma Anni Sessanta: sono gli anni d’oro del cinema italiano. Cinecittà, risorta dalle ceneri lasciate dall’occupazione tedesca, produce alcuni tra i più significativi film del dopoguerra che contribuirono a costruire una coscienza nazionale e politica.

Nel 1961 si gira “Una vita difficile” di Dino Risi su soggetto e sceneggiatura di Rodolfo Sonego; nel cast con Alberto Sordi compare un certo Borante Domizlaff (nella foto).

L’anno precedente erano usciti due film in cui lo stesso appare accanto a Sophia Loren e Jean-Paul Belmondo, ne  “La Ciociara” di Vittorio De Sica, su soggetto tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, e in “Tutti a casa” di Luigi Comencini accanto ad Alberto Sordi, Serge Reggiani e Eduardo De Filippo.

Al 1969 risale “La caduta degli dèi”, il capolavoro di Luchino Visconti prodotto da Ever Haggiag e Alfred Levy. Tra “stelle” come Dirk Bogarde, Ingrid Thulin, Helmut Griem, Helmut Berger c’è la “comparsa” Karl Hass.

Chi sono, quali ruoli interpretano e perché sono state scritturate queste “comparse”? È ciò, e non solo ciò, che viene indagato in Nazisti a Cinecittà, il bel libro di Mario Tedeschini Lalli edito da Nutrimenti. Con piglio narrativo da spy story e ampio supporto documentale, l’autore ricostruisce il ritratto di questi (e altri) personaggi e, al contempo, getta luce sullo sfondo storico-politico poco edificante di un’immemore Italia del Dopoguerra.

Borante Domizlaff e Karl Hass erano entrambi ex ufficiali nazisti delle SS, comandanti maggiori del Dipartimento III (Gestapo), l’uno e del Dipartimento VI (Intelligence interna) delle RSHA, l’altro. Entrambi furono protagonisti attivi dell’eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944) dove morirono 335 italiani per ordine del comandante Herbert Kappler. Hass fu coinvolto anche nell’estorsione dei 50Kg d’oro alla Comunità ebraica di Roma (16 ottobre 1943).

Tedeschini Lalli incappa nel nome del primo per serendipità, nel 2015, durante le sue ricerche sulla black propaganda dei servizi segreti americani in Italia durante la guerra. Tale nome risulta, però, sorprendentemente associato a un film, Una vita difficile appunto, dove interpreta un ufficiale tedesco vero che imbraccia un mitra MP-40 vero: lui, il vice di Kappler, interpreta (quasi) se stesso in un film sulla Resistenza. Una coincidenza strana se si pensa allo sceneggiatore bellunese Rodolfo Sonego, ex comandante partigiano del “battaglione Fratelli Bandiera”, garibaldino, comunista, che nel film racconta mutatis mutandis la sua personale esperienza.  Da qui parte la ricerca dell’autore che rincorre parenti ancora in vita, biografie, documenti d’archivio anche privati, carte dei servizi segreti e indagini militari nonché cineteche in una catena a ritroso che lo porta, con effetto domino, al secondo nazista: Karl Hass.

Costui “entra” nella storia del cinema con due apparizioni nel ruolo di guardia delle SS in Londra chiama Polo Nord diretto da Duilio Coletti (1956). Nel 1969 lo ritroviamo con una partecipazione in prima persona ne La caduta degli dèi di Luchino Visconti, ma il suo nome non compare nei titoli di testa e di coda. Hass appare nella scena della “notte dei lunghi coltelli” dove interpreta un ufficiale delle SA. La compresenza sul set dell’ex agente nazista dell’intelligence e del regista Visconti, antifascista sempre impegnato politicamente a sinistra, è sconcertante se si pensa  che il primo era stato attivo a Roma nel ‘44, proprio quando il secondo, cercava di nascondersi per sfuggire ai Tedeschi.

La presenza di Karl Hass nelle produzioni italiane, tuttavia, non fu occasionale. Il suo nome è presente  nei titoli di testa ne La parola, il fatto: Anarchia (1975) che segna la sua consacrazione di “attore”, e ne La linea del fiume (1976) diretto dal torinese Aldo Scavarda, anch’egli ex partigiano. Hass interpreta un generale tedesco in divisa. Nel film, dove  recita anche Leontina Levi Segré, madre della scrittrice Lia Levi, l’accento è posto sull’ebraismo del protagonista e sulle responsabilità delle leggi razziali del 1938. La Comunità ebraica di Roma era stata coinvolta nel progetto fin dall’inizio, d’accordo con il rabbino capo Elio Toaff e la scuola ebraica Vittorio Polacco. Le riprese iniziano al Portico d’Ottavia con la scena del 16 ottobre 1943; sul set un bambino ebreo interpreta la parte del protagonista.  Nessuno ha mai saputo che nel film recitava uno dei responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Kal Hass nel film ‘La linea del fiume’ di Aldo Scavarda

 

Anni Novanta. Il clima politico italiano è cambiato. Erich Priebke, fuggito come molti nazisti tedeschi in Argentina, viene segnalato dal Centro Wiesenthal di Los Angeles, catturato ed estradato in Italia dove viene sottoposto a un lungo iter processuale che si conclude con la condanna all’ergastolo nel 1997. Nel contempo, anche Karl Hass viene scoperto, processato e condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Sono passati cinquant’anni dalla fine della guerra.

Al Festival di Venezia di quell’anno, il  regista Carlo Lizzani rivela che quel Karl Hass era stato consulente per vari film di De Laurentiis, il quale glielo aveva segnalato per il suo film Il processo di Verona (1962). Entrambi erano allora ignari di chi fosse in realtà.

Come fu possibile?

A questo punto resta lecita la domanda ancora inevasa su come sia stato possibile, a gerarchi nazisti mai pentiti, vivere “invisibili” per anni e partecipare, sia pure con piccole parti e in vario altro modo, alla realizzazione di questi e altri film.

Nel caso di Borante Domizlaff, una chiave sta nel processo a Kappler del 1948, laddove quest’ultimo viene condannato all’ergastolo per crimini di guerra. Il nostro, contrariamente al suo comandante, viene assolto per aver eseguito un ordine che non sapeva essere illegittimo (sic). Da allora libero cittadino, visse per anni a Roma dove, per sbarcare il lunario, lavorò (anche) ripetutamente per il cinema interpretando se stesso, si creò una famiglia italiana e infine si trasferì in Germania, ad Hannover, dove visse distribuendo polizze assicurative porta a porta. Restò sempre in contatto con gli ex commilitoni e fedele al suo ex comandante, che aiutò a fuggire dall’Italia nel 1977.

Il  caso di Karl Hass è ancor più stupefacente. Spia per tre diversi servizi di intelligence come ex agente segreto delle SS, del controspionaggio militare americano (Counter Intelligence Corps-Cic) in funzione anticomunista, dell’Ufficio degli Affari riservati del  Ministero degli Interni italiano e come “free lance dello spionaggio” (dal ‘52 al ’56), visse inizialmente sotto copertura; poi con il suo vero nome che appariva, con l’indirizzo, sull’elenco telefonico. Più volte prigioniero e più volte evaso, attraversò mezzo secolo di storia, nascosto in bella vista, fino al 1996. Nel 1954 la sua carriera di spia è conclusa. Dal 1956 al 1966 lavorò stabilmente presso le Onoranze funebri tedesche, quindi visse tranquillamente in Italia, ricevendo una pensione dall’Inps.

Questi, e altri citati nel libro di Tedeschini Lalli, sono i nazisti tedeschi ingaggiati a Cinecittà come attori di parti esigue e marginali, comparse, traduttori, interpreti, esperti militari. Una sorta di “mercato per tedeschi ‘autentici’, ex militari”, scrive l’autore, “il nazista della porta accanto” che torna utile per raccontare il nazismo, un piccolo gruppo di ex SS ed ex militari che non avevano mai rinnegato le loro idee politiche e che si aiutavano a vicenda per sopravvivere. Nel cinema era facile trovare occasioni di lavoro,  confusi nella massa in attesa di comparsate.

D’altra parte, negli anni Cinquanta e Sessanta, se c’era il desiderio di dimenticare il passato, c’era anche la volontà politica e giudiziaria di ignorarlo  consapevolmente. Il perché viene rivelato nel 1994  con la scoperta dell’ ‘armadio della vergogna’, un archivio “provvisorio” di centinaia di fascicoli sui crimini di guerra compiuti dai nazifascisti tra il 1943 e il 1945.  Ma questa è un’altra storia.

Mario Tedeschini Lalli, Nazisti a Cinecittà, Nutrimenti, Roma, 2022; pp. 320, €17;
note estrapolate dal testo al link: https://www.nazistiacinecitta.it/il-libro/