(Foto in alto: Zeruya Shalev con Michael Soncin – © Paolo Castellano per Mosaico)
di Michael Soncin
Intervista alla scrittrice ZERUYA SHALEV sul suo nuovo libro, Stupore
«È il mio primo libro che non posso spedirgli. Questa volta non avrò il privilegio di attendere le bellissime lettere che mi mandava. Amos Oz era solito leggere i miei manoscritti; non solo i miei, ma anche quelli di altri scrittori in Israele. Sono diversi i dettagli che si connettono a lui in questo mio nuovo romanzo». Un pensiero che subito emoziona, un po’ velato di malinconia. Inizia così l’intervista di Bet Magazine a Zeruya Shalev, in Italia per presentare il suo ultimo lavoro, Stupore (Feltrinelli, trad. Elena Loewenthal, pp. 320, euro 19,00). Nata nel kibbutz Kinneret, vive oggi a Haifa. In Israele è la scrittrice di maggior successo ed è, assieme ad Amos Oz e David Grossman, tra gli autori israeliani più letti al mondo. Ha studiato a fondo i testi ebraici, le sue pagine sono disseminate di riferimenti alle fonti bibliche, e non sempre sono espliciti. Proprio alla fine di Stupore, Shalev cita un testo sulle leggende di rabbi Nachman di Breslav, tra i libri che le sono stati d’aiuto nella narrazione. Tra i diversi premi che ha ricevuto ricordiamo il Golden Book Prize e l’Ashman Prize. Il romanzo Dolore, vincitore del premio Adei-Wizo “Adelina Della Pergola” e del premio Jan Michalski, l’ha fatta amare dal pubblico italiano.
L’AMORE CONDIVISO DI ATARA E RACHEL
Al centro di questo nuovo libro ci sono due donne: Atara, un’architetto cinquantenne, e Rachel, una signora quasi centenaria. Atara, dopo la morte del padre, uno scienziato dal carattere difficile, venendo a sapere che Rachel è stata per un periodo sua moglie, cerca di mettersi in contatto con lei, per saperne di più. La vicenda la riporterà indietro, agli albori della fondazione dello Stato d’Israele. Come un’archeologa, Atara va alla ricerca del passato della sua famiglia, scavando nei ricordi di Rachel, ricordi intensi, forti e dolorosi, che l’anziana donna vorrebbe tenere sepolti, preferendo dimenticare.
Il padre di Atara e la stessa Rachel facevano entrambi parte dell’armata Lechi, un’organizzazione militare di resistenza contro la presenza delle autorità britanniche. «Lehi è stato un gruppo di estremisti, composto da poche persone, ma nonostante il numero esiguo pensavano di poter fare qualsiasi cosa. Li definirei dei megalomani. Hanno pagato molto caro il prezzo delle loro azioni. Dopo la fondazione di Israele questi militanti sono stati esclusi dalla società, ritenuti alla stregua di terroristi. È una storia tragica. Sono particolarmente incuriosita dalle storie tragiche, motivo per cui ho deciso di parlarne. Oggi dell’armata Lehi non importa più quasi a nessuno e io, con questo libro, ho voluto andare a ripristinare una visibilità per me stessa ma anche per i lettori».
Due donne, che sembrano molto diverse, scopriranno poi di avere forti punti di contatto che le uniscono: sono state entrambe amate dallo stesso uomo, seppur diversamente. Qui il tema della memoria appare metaforicamente nella professione di Atara che, costruendo nuovi edifici, li integra nel costruito, per dare loro una nuova possibilità di vivere e rimanere nel tempo.
Stupore e Dolore sono due romanzi differenti, ma entrambi i titoli sono costituiti da un solo vocabolo. C’è una connessione tra i due?
Sono due libri completamente diversi, ma c’è una connessione: la sofferenza, il dolore. A pensarci mi piace come suonano in italiano, Dolore e Stupore; in ebraico non c’è una rima (i titoli originali sono Keev e Peliyah). Alcuni titoli vengono subito alla mente, mentre per quest’ultimo ho impiegato cinque anni. L’ho deciso solo pochi mesi prima che il libro fosse concluso. Avevo una sorta di titolo temporaneo che era Fede, ma non era così completo come questo.
Lei è anche una poetessa. In Israele stiamo assistendo a una rinascita della poesia. A cosa pensa sia dovuto?
Ho iniziato a scrivere componendo poesie e ho iniziato la mia carriera come poetessa, anche se da molti anni non ne scrivo più. Ma è un dialogo che prosegue. Ora cerco di mettere assieme, nella mia letteratura, la prosa e la poesia. Ed è il motivo per cui le frasi hanno una costruzione guidata da un ritmo e da metafore. Purtroppo, in questo momento non scrivo più poesie, semplicemente per la ragione che non ‘vengono fuori’. Questo aspetto appartiene più al mio passato, però quello che sta succedendo in Israele è bellissimo. Israele è un paese pieno di energia, di creatività e penso che questo successo sia dovuto al fatto che la poesia veste bene i nostri tempi, perché rispetto alla prosa è più breve, veloce e immediata. Ha un riscontro più diretto. Credo sia questa la ragione.
Sempre parlando di scrittura, in termini di sensibilità, qual è il suo modello nel passato?
Forse la parola ‘modello’ è un po’ troppo estrema, ma da molti anni la scrittrice che ammiro di più e che trovo più interessante è Virginia Woolf, in primo luogo per lo stile, la sensibilità e il contenuto. Per questi elementi combinati assieme. Lo stile per me è molto importante e per questo sono più attratta dagli scrittori che si concentrano più sullo stile che sulla trama. Ma devo dire che adoro anche le scrittrici italiane come Elsa Morante o Natalia Ginzburg. Sono loro tre il mio ‘triathlon’! Quanto ad Amos Oz, il testo Michael mio ha avuto una grande influenza su di me, quand’ero giovane.
In generale, cosa ne pensa dell’Israele di oggi?
Israele è un paese così pieno di differenze, di conflitti, composto di parti della società molto diverse tra loro.
Gerusalemme è stata la mia casa per molto tempo, per quasi 40 anni. Ora vivo a Haifa, un posto dove montagna e mare convivono, dove anche arabi ed ebrei convivono, pacificamente. Ho vissuto per molti anni in una città come Gerusalemme dove le tensioni erano invece molto presenti, e lo sono ancora oggi. La mia idea è di vivere in una città dove al termine ‘tensione’ posso sovrapporre quello di ‘speranza’. Nonostante tutto, all’inizio non è stato facile ambientarmi, la scrittura mi ha aiutato a farlo.
Ci sono molte forme diverse di antisemitismo nel mondo. Ne esiste forse uno più dannoso dell’altro?
Tutti i tipi di antisemitismo sono pericolosi. È così deprimente e fastidioso vedere quello che sta succedendo nel mondo e specie qui in Europa. L’antisemitismo moderno si esprime contro Israele. Non è che Israele non sia criticabile, c’è molto da criticare invece. Ma vedo che c’è molta disinformazione e incapacità di comprendere. Ogni volta che vengo in Europa e rilascio interviste, vedo che le persone giudicano Israele senza conoscerne la situazione, senza capire, senza sapere la storia, nemmeno gli avvenimenti che appartengono a un passato vicino. Questo mi fa sentire molto triste e preoccupata. Durante le interviste che mi vengono fatte, di volta in volta, noto che le persone che mi pongono le domande – in maniera molto educata, intendiamoci – sono state sottoposte a un ‘lavaggio del cervello’. Non se ne rendono conto, ma non conoscono abbastanza i fatti per poter criticare. Anche questo è una sorta di antisemitismo.