Contro la banalità del male, vince solo la bontà insensata

Libri

di Rossella De Pas

Al Teatro Franco Parenti di Milano è stato presentato l’ultimo libro di Gabriele Nissim La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti, organizzata da Arnoldo Mondadori Editore, Teatro Franco Parenti e Comitato Foresta dei Giusti.

Al dibattito, “condotto” dalla direttrice del Teatro Franco Parenti Andrée Ruth Shammah, sono intervenuti, insieme all’autore, l’editorialista del Corriere della Sera Antonio Ferrari, il filosofo Salvatore Natoli, il docente dell’Università Cattolica di Milano Vittorio Emanuele Parsi e l’oncologo Umberto Veronesi.

L’apertura del dibattito è stato affidato alla “padrona di casa” Andrée Ruth Shammah che, conoscendo da anni Nissim ed avendo vissuto con lui molte delle sue imprese, esprime la propria ammirazione per le idee che emergono da questa opera, che condivide profondamente.


Ferrari, “compagno” di Nissim in avventure come il viaggio in Bulgaria, manifesta la propria considerazione per questo libro.

In particolare, ricorda la filosofia di Marco Aurelio che l’autore richiama nel primo capitolo:

“Non sperare nella repubblica di Platone, ma accontentati che una cosa piccolissima progredisca, e pensa che questo risultato non è poi così piccolo”.

Secondo il giornalista, questa frase è particolarmente importante perché ben sintetizza la figura dei giusti: partendo dal presupposto che gli esseri umani sono per loro natura imperfetti e che persino i giusti peccano, ognuno può dare il proprio contributo cercando di fare del bene.

Come sottolinea l’autore:

“Tutti gli uomini – compresi quelli che ci sembrano più cinici e insensibili – possono ergersi contro il male in modo inaspettato, e noi stessi, forse, abbiamo la forza interiore per compiere quelle piccole azioni che possono scalfire un’ingiustizia, quando sembra velleitario e del tutto impossibile cambiare il corso di avvenimenti più grandi di noi”.


Natoli, citato come maestro da Nissim, si sofferma sulla conclusione del libro e, partendo dalla definizione di giusto data dall’autore:

«I Giusti… non uomini santi, ma imperfetti come lo siamo tutti, li possiamo considerare degli amici che ci insegnano a vivere la nostra quotidianità con il piacere di venire in soccorso del più debole, di avere il coraggio di pensare da soli, di non mentire a noi stessi, di essere capaci di mettersi al posto degli altri, di saper perdonare, di non sentirsi depositari della verità»

sottolinea come ci sia sintonia tra le storie delle singole persone ed i valori “universali” che si rifanno ad una memoria profonda e spirituale.

Il filosofo ricorda infatti che nel giudaismo arcaico la tzedakà – giustizia – non era tanto la conformità ad una norma assoluta ma, poiché la giustizia è prerogativa divina, significava operare come D-o opera nei confronti di Israele, cioè per salvarlo: la giustizia è quindi la pratica della salvezza, è l’operazione di redenzione.


Parsi si sofferma sullo stretto legame di Nissim con la Arendt: la bontà insensata è speculare alla banalità del male: quando il male diventa banalità, quando è la pratica che garantisce la sopravvivenza, allora la bontà è veramente insensata.

Non c’è quindi contrapposizione tra ciò che sostengono i due autori: affermano esattamente la stessa cosa, uno evocando il male, l’altro evocando l’insensatezza del bene.

Per vincere il male banale serve un bene insensato e questa insensatezza è a disposizione di tutti, alla portata di persone semplici che fanno piccole cose in rispetto a se stessi: non si fa il bene per amore verso il prossimo, non per un premio da D-o ma perché si sente di avere un limite che non si può superare.


Veronesi sostiene di avere letto con piacere, vissuto e sentito con molta profondità questa opera perché ha ritrovato in esso parte della propria giovinezza, avendo passato gran parte della propria vita a contatto con questa realtà (la moglie Susi è una delle poche sopravvissute al concentramento a Belsen).


Dominato dalle tre figure di Grossman, di Bejski e della Arendt, questo libro è soprattutto una grande requisitoria contro l’intolleranza razziale, contro l’assolutismo ideologico, contro il massimalismo religioso e lancia un forte messaggio di serenità e di pace; per questo motivo andrebbe letto, divulgato e diffuso alle nuove generazioni perché su queste basi si dovrebbe costruire la società del futuro.


L’intervento conclusivo del dibattito è stato affidato allo stesso Nissim che ha sottolineato due delle idee basilari che emergono dal suo scritto: in primo luogo il fatto che non sia corretto santificare i giusti in quanto, in questo modo, creeremmo un alibi per chi non si è comportato bene, uniformandosi alla massa; in secondo luogo, il fatto che la memoria della Shoah debba essere universale, valendo come modello per tutti i genocidi.

Gabriele Nissim La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti, Arnoldo Mondadori Editore, pp. 264, euro 18.50