di Marina Gersony
Renato Mannheimer scrive per i suoi figli la storia della famiglia. Un paradigma ebraico
«Da dove veniamo. Appunti sulle origini di una parte della famiglia»: è il titolo di un breve saggio di Renato Mannheimer, dedicato ai figli Ludovico e Giacomo. Non lo troverete in libreria perché è una narrazione privata, o meglio, destinata a famigliari e amici. Ma, come scrive il noto sociologo, saggista e sondaggista nella prefazione, «quello che qui vi espongo è da considerare più un work in progress che una stesura definitiva. Cercherò di completare il mio lavoro negli anni a venire».
In attesa di un libro destinato a un pubblico più vasto, in questo piccolo volume denso di notizie, fatti e personaggi, il professore ricostruisce parte della storia di famiglia viaggiando e setacciando gli archivi di mezza Europa, su Internet, rispolverando vecchie lettere, fotografie e documenti d’epoca che rievocano, a tratti, l’indagine poetica dell’Ogni cosa è illuminata del primo Jonathan Safran Foer…
Mannheim, «una brutta città tedesca sulle rive del Reno con cui probabilmente abbiamo qualcosa a che fare»; in realtà, spiega il professore, gli antenati paterni provenivano da Ocs, un piccolo paese della provincia di Veszprem in Ungheria centro-occidentale, dove nel 1833, probabilmente da una famiglia di contadini, nacque il trisnonno Lajos Mannheimer. Quella della madre è invece tutt’altra storia: i ricchi progenitori venivano da Praga: «qui – scrive l’autore sempre rivolgendosi ai figli – nel 1760 (proprio quando a Praga abitava anche Mozart) nacque Jacob Urbach, vostro sestisnonno».
Una famiglia composita e cosmopolita proveniente da tutta l’Europa centrale e orientale quella dei Mannheimer-Urbach-Tassig-Klein, legata alle vicende degli ebrei dell’impero austroungarico sullo sfondo di cambiamenti politici, sociali e di guerre. «E da lì che veniamo, ma è anche da lì che siamo stati più volte cacciati. Anche in modo violento».
Dopo nonni quadris tris e bis si arriva ai nonni tout court, tra cui il nonno paterno Armin con nonna Rosa e i loro tre figli: «Nonna Rosa ne ha passate molte – osserva Mannheimer –, due guerre mondiali, il campo di concentramento, ed è riuscita ad arrivare a Milano con i miei, dove è morta, a 79 anni, nel 1950, quando io avevo tre anni. È seppellita al cimitero ebraico a Milano».
Difficile riassumere in poche righe la storia–bouillabaisse di questa grande famiglia. Sono frammenti di ritratti, aneddoti, misteri e interrogativi assai preziosi per salvare la propria origine e darle un senso, prima che il tempo spazzi via tutto. Conclude Mannheimer, con l’ironia che lo contraddistingue: «Ho usato anche My Heritage che, sulla base dell’analisi del mio Dna ha stimato le mie origini come segue: 93,9% ebreo askenazita; 3,3% mediorientale; 1,8% sardo; 1,0%iberico… Chissà chi è il sardo, se esiste, tra i nostri antenati».
Aspettiamo il prossimo libro.