di Michael Soncin
Poco prima di andarsene, Franz Kafka chiese all’amico Max Brod di distruggere tutti i suoi “scarabocchi”, fatti di appunti e schizzi sparsi qua e là. Una richiesta che non venne mai ascoltata, al contrario, Brod più volte protesse il lascito da numerose minacce, in particolare dalla confisca dei nazisti, per poi portarli con sé nel 1939 durante la fuga in Palestina.
Una disobbedienza, senza entrare nel piano etico, che ci ha permesso di scoprire il talento per il disegno, del grande intellettuale boemo fino ad oggi parzialmente apprezzato. Parzialmente poiché al pubblico era nota solo una piccola manciata dell’intera produzione, che è stata tracciata nel corso degli anni e che ritroviamo su fogli sparsi, pagine di diario e un intero quaderno.
Infatti, quelli finora sconosciuti, erano stati occultati per decenni in una cassetta di sicurezza prima a Tel Aviv, poi a Zurigo. I discussi disegni in origine appartenenti a Brod passarono nelle mani della sua segretaria Ilse Ester Hoffe, rimanendo occultati per moltissimo tempo, fino a quando attorno alla metà del 2019, dopo una vertenza giudiziaria durata 10 anni, la Corte suprema d’Israele ha negato ogni diritto di proprietà alla Hoffe e ai suoi eredi, attribuendone l’appartenenza alla Biblioteca Nazionale d’Israele di Gerusalemme, dove oggi si trovano.
E così adesso, una volta resi pubblici, li possiamo trovare raccolti in un volume uscito in Italia per Adelphi, curato da Andreas Kilcher – che ricostruisce la spinosa storia -, con una nota di Roberto Calasso, che ne contiene l’intero corpus conservato grazie a Brod. Ed è grazie a questa rivelazione che si può comprendere maggiormente la grandezza delle illustrazioni kafkiane.
Nell’osservarle, noteremo una certa famigliarità tra le due vesti, di illustratore e di scrittore, pur vivendo entrambe in autonomia, sebbene in parallelo. Queste esili figure dai volti indefiniti, tratteggiati di nero, parlano una lingua: quella di Kafka.
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