di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Uno dei punti focali dell’antisemitismo è da secoli l’accusa agli ebrei di avere un rapporto troppo stretto e comunque malsano con il denaro, di essere “usurai”, “avari” o quanto meno “materialisti”, sensibili solo ai conti e non ai sentimenti. Dai trenta denari per cui Giuda avrebbe tradito Gesù, alla “libbra di carne umana, vicino al cuore”, pretesa dal “mercante di Venezia” di Shakeaspeare al suo debitore inadempiente, fino alle calunnie dei Protocolli dei Savi di Sion e del nazismo, questa accusa è stata continuamente ribadita. In particolare molti, a partire da Karl Marx, hanno legato l’ebraismo all’invenzione del capitalismo, entrambi “servi del Dio denaro”. Che poi la stragrande maggioranza degli ebrei del tempo di Marx, ma anche di Shakespeare e prima, vivesse in condizioni di estrema indigenza, a causa della proibizione di esercitare la maggior parte dei mestieri, delle persecuzioni e delle reclusioni che subivano, agli antisemiti non importa, come non li impensierisce la contraddizione fra il rimproverare agli ebrei di essere capitalisti e contestare loro la colpa di essere rivoluzionari.
Al di là del suo uso da parte degli antisemiti, il rapporto degli ebrei col denaro e col commercio è un tema di grande interesse. La Torà è il solo testo sacro, a mia conoscenza, a contenere le basi di una legislazione sul commercio (che poi saranno ampiamente sviluppate nel Talmud); sennonché queste regole sono intese piuttosto a dar sollievo ai deboli e a promuovere la giustizia sociale che a dar man forte ai ricchi. Si pensi per esempio alle regole del Giubileo che prevedono una scadenza per i debiti e alla servitù dei debitori, o all’imposizione di una decima per i poveri. Certamente però l’ebraismo non ha l’ipocrisia di altre culture religiose e non condanna il commercio né la ricchezza in sé. La storia economica del popolo ebraico è, come tutte quelle che lo riguardano, una vicenda millenaria, complessa e ricca di cambiamenti. Il libro più interessante in materia è ancora quello di Jacques Attali pubblicato in italiano nel 2003 sotto il titolo Gli ebrei, il mondo, il denaro (Edizioni Argo, ancora disponibile, € 28.50).
Ma vale la pena segnalare un altro libro molto più recente, Ebrei e capitalismo – storia di una leggenda dimenticata (Laterza), di Francesca Trivellato, una storica italiana che insegna all’Institute for Advanced Study di Princeton. Trivellato ricostruisce la microstoria di una piccola “leggenda”, cioè che “gli ebrei” avessero inventato non il capitalismo ma un documento contabile importante per la costituzione della finanza moderna, cioè la “lettera di cambio”, nata per permettere il commercio internazionale senza spostamento fisico di monete preziose in tempi di insicurezza, utilizzando l’arbitraggio di debiti e crediti da parte dei banchieri e poi evolutasi in uno strumento di credito ed eventualmente di speculazione, la moderna cambiale. Una leggenda, appunto. Secondo Trivellato “nel 1647, un avvocato di Bordeaux inserì per la prima volta in un volume a stampa la narrazione del tutto fittizia secondo cui erano stati gli ebrei medievali a inventare l’assicurazione marittima e le lettere di cambio”. La fortuna di questa “leggenda” arriverà con toni diversi a Montesqieu, a Marx, all’antisemitismo ottocentesco. Seguirla nei dettagli con questo libro ci permette di capire l’evoluzione dell’odio per gli ebrei dallo sfondo religioso medievale a quello economico della modernità.