di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Un testo propedeutico all’approfondimento.
Kabbalah, come è noto, è una parola che in ebraico indica il concetto di “ricezione” (in ebraico moderno anche “ricevuta”, accoglienza ecc.), essendo tratta da una radice k-b-l che significa “ricevere”, “accettare”. Semanticamente essa è l’inverso di “tradizione”, una parola di origine latina che significa “dare”, “trasmettere”; ma le due azioni sono complementari e dunque il significato può risultare simile. Che a un certo punto della lunga storia del pensiero ebraico proprio con “kabbalah” si sia iniziato a denominare la tradizione mistica, è molto significativo, perché costituisce una rivendicazione di continuità con il cuore del pensiero ebraico, il proposito di non separarsi non solo dalle Scritture, ma anche dalla tradizione ermeneutica codificata nel Talmud.
I saperi esoterici sull’origine del mondo, sul senso profondo delle Scritture e sulla struttura della divinità sono testimoniati in maniera parca e misurata molto prima che si affermasse questo nome. Ne troviamo traccia in molti passi dei profeti e in qualche luogo
del Midrash e del Talmud, in parti- colare in quello del trattato Hagiga 14a in cui si racconta dell’ascesa di quattro maestri nel “Pardes”, il giardino segreto dove sorgono i palazzi celesti, un’impresa da cui tutti sono gravemente danneggiati, salvo Rabbi Akivà che ne esce “in pace”.
La Kabbalah emerge però soprattutto fra la Provenza e la Catalogna a partire dal XII secolo, coinvolgendo molto rapidamente il mondo ebraico. Il libro dello Zohar si diffonde in quel periodo, grandissimi maestri come il Ramban ne insegnano la dottrina, che passa anche in Italia e poi, dopo la cacciata dalla Spagna, conosce una nuova fase creativa in Terra di Israele, in particolare nella cittadina di Zfat in Galilea, con Luria, Cordovero, Caro e altri grandi rabbini.
Un secolo dopo il falso messia Sabbatai Zvi fondò la sua disastrosa avventura sulla base di una sua lettura delle loro dottrine; in seguito e in maniera molto più costruttiva la Kabbalah fu popolarizzata e utilizzata dal chassidismo. Rifiutata come “medievale” dagli storici dell’ottocentesca e positivista “Scienza dell’ebraismo”, fu riportata in luce anche in Occidente dai racconti di Martin Buber e soprattutto dagli studi rigorosi di Gershom Scholem e della sua scuola, da cui si è distaccata negli ultimi decenni la ricerca di Moshè Idel.
Oggi vi è una fioritura straordinaria di scritti sulla Kabbalah, dalle analisi filologiche più raffinate, ad opere polemiche e apologetiche, fino alle divulgazioni più popolari e più imprecise.
Mancava però, almeno in italiano, una storia vera e propria di questa corrente di pensiero, che la mettesse in relazione con le vicende del popolo ebraico e il suo contesto storico e politico e ne tenesse in considerazione non solo le punte più alte, ma anche la divulgazione e la penetrazione in ambienti non ebraici, che non è accaduta solo negli ultimi decenni, con l’affermazione di misticismi e superstizioni cabalistiche in ambienti New Age e fra le dive di Hollywood, bensì ripetutamente a partire dal Rinascimento italiano (con Pico della Mirandola) e in ambienti occultisti cristiani, fra il Seicento e l’Ottocento.
Per chi fosse interessato, più che ai complessi dettagli della dottrina e alle sue innumerevoli varianti, a uno sguardo storico di questo tipo, si raccomanda Kabbalah. Il segreto, lo scandalo e l’anima, un libro appena pubblicato da Bollati Boringhieri e scritto da Harry Friedman, autore inglese di cui abbiamo già parlato in questa rubrica a proposito di una sua bella Storia del Talmud, anch’essa tradotta da Bollati. Friedman ha un dottorato sulle traduzioni aramaiche della Torah, conosce bene e di prima mano la tradizione ebraica e ha la dote assai britannica di una scrittura divulgativa limpida e chiara che riesce a trasmettere l’essenziale senza troppe
imprecisioni. Il lungo e affascinante percorso storico del misticismo ebraico, le grandi figure che vi compaiono, i dibattiti accalorati che l’hanno sempre circondato, la capacità di tradursi in altre culture, insomma ciò che ha reso popolarissima una disciplina nata come “segreto” per pochissimi eletti emerge dalle pagine di Friedman con grande chiarezza. Prima di inoltrarsi nei labirinti di immagini e dottrine decifrati dagli studi di Scholem e Idel, questo libro offre un panorama generale utilissimo proprio per la sua capacità di spiegare e semplificare.