di Carlotta Jarach
“Giuseppe non aveva paura di Roma: la logica e la tecnica degli occidentali si potevano imparare, ma la potenza intuitiva dell’Oriente no. Laggiù Uomo e Dio erano una cosa sola; ma Dio era invisibile, non si poteva né guardare né imparare”.
Così racconta Gioele Dix alla Fondazione Corriere, giovedì 27 novembre, leggendo il testo di Lion Feuchtwanger dal titolo “La fine di Gerusalemme“, ora disponibile in ebook grazie a Tiqqun, nuova collana di libri digitali, che grazie a una maggiore agilità e libertà dal mercato, può proporre libri scelti fuori dal mainstream: sentieri minori, piccole deviazioni dalla via principale, riproposte di titoli usciti di catalogo, ma anche ritagli, note senza testo e frammenti postumi, una seconda chance per autori già noti – ripercorrendo le tracce di gloriose collane quasi dimenticate.
La fine di Gerusalemme (Revisited) è solo il primo di una serie di libri che Tiqqun pubblicherà: i prossimi sono uscirà Arthur Koestler, Ladri nella notte, un appassionante romanzo sulla nascita dei primi kibbutzim e d’Israele (1937-39), che narra dei giovani pionieri, dei vicini arabi e degli inglesi.
“La fine di Gerusalemme”, una storia antica e contemporanea
Siamo nel primo secolo dopo Cristo, e Giuseppe Ben Mattia, Sacerdote del Tempio, giunge a Roma, allora capitale dell’Impero, come racconta Anna Foà, in apertura. Il suo scopo: perorare la causa di tre ribelli di Giudea, condannati ai lavori forzati. Nobile, colto e ambizioso, diffida dei romani ma al tempo stesso li ammira, sicché tornato in Giudea farà da intermediario tra la resistenza e i Romani. Al termine del conflitto cambierà nome in Flavio, epiteto col quale scriverà la Guerra giudaica, vissuta in prima persona.
“La storia è di oltre duemila anni fa, eppure ci sono elementi contemporanei, che si applicano meglio alla realtà di oggi che a quella dell’autore, morto negli anni ’50”, esordisce Anna Momigliano, caporedattrice di Studio.
Oltre alla dicotomia evidente tra ebrei della diaspora ed ebrei di Giudea, Momigliano focalizza l’attenzione sulla contrapposizione tra chi vuole combattere fino alla morte, e chi invece, realista, è conscio della superiorità militare di Roma. Cita un articolo di Shabtai Shavit, giornalista di Haaretz che spesso critica la politica interna di Israele: “tira un’aria degna di Bar Kokhba”. Come a dire: attenzione, il desiderio di proteggere Israele a tutti i costi rischia di portare alla distruzione di Gerusalemme.
Leggere un romanzo storico alla luce dei fatti di oggi è appropriato, dice Paolo Mieli, giornalista e saggista. Mieli attraverso la vita e le ideologie sia di Giuseppe che di Feuchtwanger ci mostra che in fondo i due si assomigliavano molto: culturale antisionista, lo scrittore si schierò chiaramente a favore di un atteggiamento di assimilazione, e Giuseppe rappresentava al meglio il modello di integrazione.
“Giuseppe visse fino all’anno 100, sopravvivendo a tutti gli imperatori cui prestò servizio. Pensava Feuchtwanger che fosse questo il destino degli ebrei: se riusciamo a entrare in connessione con il Mondo sopravvivremo e saremo noi a dettare la storia e la continuità. Se cerchiamo di difenderci come comunità, il nostro destino è soccombere. Bisogna incontrare l’altro, e vivremo più di coloro alla cui corte abbiamo servito”.
Nel corso dell’intervento Mieli ricorda il sacrificio di Masada, e a ciò si ricollega Anna Momigliano: l’alterità dell’ebraismo rispetto a Roma, sia come non sottomissione che in termini più profondi, rappresenta un tema centrante dell’opera in esame. Dice Momigliano: “La tensione è lo scontro tra Oriente e Occidente, tra tecné e l’arte del compromesso da una parte, e la fede incontrollabile e la non sottomissione dall’altra”. Controverso, indica, è oggi il discorso, soprattutto in un’ Europa di spiritualità Giudaico-Cristiana, nata però sulle ceneri di Roma e Atene.
E prende la parola di nuovo Mieli: “Gerusalemme si è rivelata un seme più duraturo. Parla all’Umanità. La tecné si sposta, mentre la spiritualità ha un filo apparentemente più fragile ma di una seta durissima e indistruttibile che regge duemila anni”.
Elogio a un libro scritto nel periodo pre-Shoà. Lo definisce infatti Mieli: “periodo in cui era viva la fede nell’incontro col diverso che produceva qualcosa di magico. Con qualsiasi re puoi stipulare un compromesso. E questa è (o era) la memoria ereditata da Giuseppe Flavio”.
Credere è un valore, credere nelle cose che si fanno, avere un’identificazione nella mente, senza andare a guardare eventuali convenienze. Crederci è la miglior fonte di energia nella storia dell’Umanità: un’intensità tipica nella cultura ebraica.
E come un’eco lontana, una voce dal pubblico: “Gli ebrei dopo migliaia di anni sono ancora convinti di essere ebrei. La religione ebraica è una religione razionale: nella tecnè dell’occidente c’è un divorzio e un parallelismo tra scienza e fede. La cultura ebraica compie questa sintesi: essa non ha dogmi, anzi il fondamento del Talmud è che non è importante avere fede, ma comportarsi come se la si avesse. Si razionalizza un comportamento e una regola di vita dei rapporti interumani, perché ognuno è esempio per gli altri, ma non bisogna credere per forza”
Infine, per concludere, Gioele Dix: «Dice il maestro al discepolo Giuseppe: “Non è il regno quello che conta. Non il popolo né lo Stato creano la Comunità, il senso della nostra Comunità è la Legge. Finché durano la Dottrina e la Legge abbiamo quello che ci unisce. Non ci potranno disgregare finché avremo la lingua o la carta per la Legge. A noi non è dato di portare a termine l’opera, ma abbiamo il dovere di non abbandonarla. Ecco a che cosa siamo eletti. Non si sa se il Messia arriverà mai, ma bisogna sempre credere che verrà”.
Tiqqun Edizioni
Tiqqun è una nuova collana di libri digitali, che grazie a una maggiore agilità e libertà dal mercato, può proporre libri scelti fuori dal mainstream: sentieri minori, piccole deviazioni dalla via principale, riproposte di titoli usciti di catalogo, ma anche ritagli, note senza testo e frammenti postumi, una seconda chance per autori già noti – ripercorrendo le tracce di gloriose collane quasi dimenticate.
“Come ogni nascita però ha bisogno di guardare oltre l’orizzonte, di ricercare impulsi in qualcosa di nuovo – si legge nel comunicato stampa -: Israele narrato dalle giovani generazioni e da scrittori da scoprire, soprattutto nella loro quotidianità a Tel Aviv,
simile a quella dei millennials di New York, Berlino o Milano. Provando a scorgere questa vita fuori dai cliché abusati, potremo scoprire un “nuovo mondo” di racconti, dove i temi con cui si dipinge Israele (conflitto insanabile tra i due popoli, guerra incombente e condizionamenti religiosi) appariranno diversi, persino paradossali e ironici. E il nostro sguardo non potrà non subire un cambiamento. Sono scrittori che narrano storie di una terra che, pur affrontando mille difficoltà, guarda avanti e progetta, a differenza del vecchio Continente. Anzi, è proprio l’insicurezza fatale che costringe a pensare e a vivere con maggior intensità, come se si giocasse ogni volta l’ultima partita. Questi libri devono catturare il timbro particolare, che viene solo da lì, hic et nunc, e si snoda in un racconto capace di rendere questa complessità e varietà del vissuto, non solo un reportage giornalistico legato agli eventi. Pubblicheremo libri da bancarella (Tiqqun Revisited), autori che vale la pena ripescare e che proponiamo rivedendone i testi e secondo alcuni temi chiave legati alla cultura mitteleuropea e all’ebraismo; romanzi e racconti della nuova generazione d’Israele (Only In Israel); rarità e testi “di contrabbando” esclusi dalle pubblicazioni, racconti brevi, frammenti postumi o bozze di opere, carteggi e materiali vari, deviazioni e biopic (Bootleg)”.
Del comitato promotore di Tikkun fanno parte: Anna Foà, Giuseppe Saracino,
Nanette Hayon e Paola Mortara della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC Onlus.