di Redazione
Umberto Eco, Yishai Sarid, Primo Levi… Ecco alcuni nuovi titoli per riflettere intorno al tema dello sterminio, della memoria, dell’antisemitismo, dell’intolleranza, del negazionismo… Sette nuovi titoli di libri: per riflettere, per capire…
Pochi, originali, suggerimenti di lettura, aspettando il 27 gennaio, Giorno della Memoria, da Israele alla Francia, dall’Italia alla Polonia. Sei proposte nuove e un evergreen dimenticato.
Il mostro della memoria
«Papà, qual è il tuo lavoro?”, mi chiese. «Papà racconta alla gente quello che è successo». «E cosa è successo?». «In passato c’era un mostro che uccideva le persone». «E tu lotti contro questo mostro?». «Il mostro è già morto, è rimasto solo il suo ricordo». È il nazismo il mostro evocato in questo dialogo fra il protagonista – una guida ai campi di concentramento e sterminio nazisti, arrivato allo studio della Shoah quasi per caso – e il figlio di 5 anni. Ma, man mano che si legge Il mostro della memoria di Yishai Sarid, ci si rende conto che il vero mostro è quello nato dal ricordo dell’orrore nazista, con cui il protagonista ha a che fare quotidianamente per lavoro, e che si presenta nel libro sotto diverse forme: una cerimonia dell’esercito israeliano totalmente fittizia e artificiale nei campi di sterminio, i gruppi di studenti israeliani che visitano numerosi Auschwitz, avvolti nelle loro bandiere e cantando senza fine canti strappalacrime e l’inno nazionale – fra i quali alcuni che si identificano con i carnefici -, ma anche il ministro israeliano che visita Chelmno solo per farsi vedere nelle fotografie nei luoghi dell’orrore, e il regista tedesco che, nelle ultime pagine, predilige gli aspetti morbosi della barbarie nazista. Un mostro, quello della memoria, che il protagonista non solo non riesce a sconfiggere, ma che anzi ha la meglio su di lui, risucchiandolo in una spirale di malessere e squilibrio. Un libro molto potente, inquietante e sconvolgente, che fa riflettere sulla strumentalizzazione e banalizzazione della Memoria nella società contemporanea israeliana e non solo. Ilaria Myr
Yishai Sarid, Il mostro della memoria, trad. Alessandra Shomroni, edizioni e/o, pp. 135, euro 15,00.
L’identita negata e ritrovata
«Sarebbe meglio, molto meglio se Storie naturali uscisse non con il suo nome, Primo Levi, ma con uno pseudonimo». Non è certo una novità che autori anche molto famosi e di successo usino un nom de plume per firmare opere letterarie, per vari e diversi motivi. Lo ha fatto Romain Gary, che diventò Emile Ajar per beffare i critici francesi, e molti altri prima e dopo di lui. Ma non poteva sfuggire all’Einaudi che quella richiesta – quasi proditoria, il contratto era già stato firmato – aveva per Levi un peso molto diverso. Un uomo che aveva, solo pochi anni prima, “perso il suo nome” ad Auschwitz, sostituito da un numero tatuato, si vedeva ora privato del suo nome, proprio quando si accingeva a pubblicare una raccolta di racconti di “fantascienza”, Storie naturali (immaginifici, ironici, fantastici), con cui intendeva affrancarsi dal ruolo di mero testimone della Shoah, per rivelarsi come scrittore “vero”, che immagina e racconta storie e personaggi. Fu come se la sua casa editrice, che aveva rifiutato in prima battuta di pubblicare Se questo è un uomo (a causa del parere negativo di Natalia Ginzburg. Grazie a Franco Antonicelli, nel 1947, uscì poi per l’editore De Silva), dopo il successo de La tregua volesse costringere Levi in un ruolo di perenne “reduce”. Carlo Zanda ricostruisce in questo prezioso saggio la “storia del nuovo cognome”, sottovalutata finora da critici e biografi. Ester Moscati
Carlo Zanda, Quando Primo Levi diventò il signor Malabaila, Neri Pozza, pp. 286, euro 13,50.
La nave dell’occidente in fuga
Victor Serge, Alfred, Kantorowicz, André Breton, Germaine Krull, Claude Lévi-Strauss… sono solo alcuni dei personaggi dell’intellighenzia europea in fuga dal nazismo che troviamo a bordo del transatlantico Capitaine-Paul-Lemerle, in partenza il 24 marzo 1941 da Marsiglia alla volta del Nuovo Mondo. Trecento viaggiatori che hanno contrattato e trafficato per un “passaggio” verso la salvezza, ostaggi ora di una bagnarola rattoppata, senza alcuno dei comfort promessi, solo con la speranza della salvezza in tasca. A bordo, dopo lo smarrimento iniziale, si ridefiniscono ruoli e caste, i giocatori, gli scrittori, gli intellettuali che la sera “nell’ora blu, mentre l’esasperazione per l’afa del giorno svaniva e una dolce brezza s’infilava sul ponte” davano vita alla “scuola”, alle letture e ai dibattiti. Vivide le descrizioni dei porti di scalo, delle emozioni, delusioni e relazioni che si intrecciano tra i fuggiaschi ansiosi, che temono le deviazioni di rotta e le mine sommerse. È un romanzo, ma la materia prima è reale, e veri sono i corsivi tratti da opere e documenti scritti dai protagonisti. Adrien Bosc è partito da una vecchia fotografia e ha messo insieme materiali d’archivio, cronache e memorie. Ha elaborato il tutto con talento letterario, immaginazione e sensibilità per restituire un’ambientazione realistica tra le paratie di acciaio corroso, dove le personalità dei protagonisti si confrontano. Ester Moscati
Adrien Bosc, La traversata, Guanda, pp. 317, euro 19,00.
Un fantasma nero s’aggira per l’Europa
Esiste un “fascismo eterno” che può tornare sotto mentite spoglie, anche le più innocenti? Sì, risponde Umberto Eco, eccome. Ma è nostro dovere smascherarlo. Tra revival di camicie nere e kitsch nibelungico, in che cosa consiste il catalogo delle sgangheratezze ideologiche nere? E intorno a che cosa si coagula la nebulosa fascista e i suoi eroi, Franco, Salazar e Benito, Ezra Pound e Julius Evola…? In un testo del 1995 oggi ripubblicato, Eco analizza gli elementi e le caratteristiche tipiche dell’Ur-Fascismo o fascismo eterno: il culto della tradizione, l’amore per l’occulto e per il sincretismo, la macedonia culturale che mette insieme il Graal e Gramsci, i Protocolli dei savi di Sion e la New Age. E poi l’idolatria per la tecnologia accompagnata, paradossalmente, dal rifiuto della modernità; il culto dell’azione per l’azione, l’insofferenza per la cultura (sempre pesante, sospetta, pallosa). Attualissimo. Fiona Diwan
Umberto Eco, Il Fascismo eterno, La Nave di Teseo, pp. 51, euro 5,00.
Il rogo di libri oggi si chiama censura
Una cavalcata storica tra il nemico numero uno di tutte le dittature e le tirannie: i libri. Lo sapevano bene Pol Pot e Hitler, Stalin e Savonarola, Mao e Khomeini. Persino Giulio Cesare, che incendiò la biblioteca di Alessandria; i serbo-bosniaci che distrussero, con mortai e obici, la biblioteca di Sarajevo. I libri sono pericolosi, ieri eliminati con i roghi, oggi messi all’indice dalla censura del politicamente corretto. Bandito Shakespeare e il suo Tito Andronico perché troppo sanguinario; oscurate, da certe università francesi e Usa, le Baccanti di Euripide perché opera antifemminista; le Metamorfosi di Ovidio perché opera “offensiva e violenta”, arrecante danni psichici agli studenti della Columbia University; le Supplici di Eschilo perché opera “razzista”. Persino Cappuccetto rosso non scappa, favola rea di contenuti sessisti e regressivi. Per non parlare della censura che oggi colpisce Lolita di Nabokov e Fitzgerald de Il Grande Gatsby. Ecco un piccolo, magnifico, saggio da non perdere. Fiona Diwan
Pierluigi Battista, Libri al rogo, la cultura e la guerra all’intolleranza, La Nave di Teseo, pp. 135, euro 8,00.
Per non dimenticare? un po’ d’ironia
Satirico, dissacrante, comico, ecco un romanzo originale, che guarda in modo umoristico al pericolo negazionista e a come è trattata oggi la Shoah. «I ragazzi vanno ad Auschwitz e si fanno i selfie. Ecco, non vorrei che Auschwitz fosse vissuto come un Jurassic Park (…) ma vorrei che anche i più giovani sentissero quanto è accaduto come cosa viva e presente, come un rischio oggettivo di fronte alle tante manifestazioni che vediamo e che mi spaventano», spiega lo scrittore Caviglia. Profondo e divertente. F. D.
Alberto Caviglia, Olocaustico, Giuntina, pp. 303, euro 18,00
Il giorno prima della Shoah
Konin è una piccola cittadina polacca che al tempo della Seconda guerra mondiale si trovava a poche decine di chilometri della frontiera con la Germania. Quando nel 1939 le truppe dell’esercito tedesco invasero il Paese, Konin fu uno dei primi centri a diventare “judenrein”. Dei tremila ebrei che vi abitavano non ne rimase uno: l’antico “shtetl”, con la sua sinagoga, la preziosa biblioteca, il Tepper Mark e le scuole, non esiste più. Che il luogo dov’erano nati i suoi genitori fosse stato cancellato dalla faccia della terra rappresentava per Theo Richmond un tormento. Così per sette anni ha inseguito il passato tra archivi e viaggi alla ricerca dei sopravvissuti, dispersi in ogni parte del mondo, raccogliendo documenti eccezionali.
Theo Richmond, Konin. La città che vive altrove, trad. Elena Loewenthal, Instar Libri 1998, pp. 848.