Quelli che vagano qui non sono che corpi/ Qualche volta sincontrano libri che ridanno speranza. Speranza sulla possibilità di raccontare storie che toccano il profondo; che parlano di rapporti tra padri e figli e tra fratelli; che mostrano limportanza della memoria per alimentare sentimenti veri, non televisivi. Il peso del corpo di Ehud Havazelet colpisce a fondo fin dalle prime pagine. La morte drammatica a San Francisco di un figlio lontano, Daniel Mirsky, fa mettere per strada, dallaltra costa degli Stati Uniti, suo fratello Nathan e il padre Sol. I frammenti dispersi di una famiglia ebrea. Daniel era tossicodipendente: geniale e irriverente, prima che la sua vita naufragasse. Nathan che, quasi quarantenne, non è ancora diventato dottore, ha sempre avuto un legame contrastato con il fratello, tra ammirazione, rabbia e invidia. Sol, vedovo di una donna molto amata, è sopravvissuto a un campo di sterminio: il ricordo che ancora ritorna e non dà pace. Havazelet ricompone così la vita dietro ogni personaggio. E, finalmente, le intreccia. La peregrinazione di Sol per San Francisco con la cassetta delle ceneri del figlio – il peso del corpo, appunto – è il tentativo doloroso e vitale di riconciliazione con il passato, di risarcimento per le parole non dette, di una seconda chance anche postuma. La scrittura sorprende e rende partecipi. Il libro, felicemente, commmuove.
Ehud Havazelet, Il peso del corpo, Einaudi, pp. 320, euro 21.