di Anna Lesnevskaya
Tradurre il Mein Kampf, un testo divenuto sinonimo del male assoluto, è una fatica immensa, un vero e proprio travaglio anche per un grande conoscitore dei testi del Terzo Reich, come lo è Olivier Mannoni, 55enne direttore della Scuola di traduzione letteraria a Parigi. Il traduttore dal tedesco è stato incaricato di realizzare una nuova traduzione dalla casa editrice Fayard che dal 2011 prepara un’edizione critica francese del manifesto del nazismo scritto da Adolf Hitler tra il 1924 e 1925.
“E’ un testo con cui bisogna battersi senza sosta, – ha confessato il traduttore francese a Le Monde in una recente intervista –. A volte non ce la facevo più dallo sforzo intellettuale enorme. Dovevo fermarmi”.
La pubblicazione, inizialmente prevista per il 2016, sembra che slitterà al 2018. La casa editrice ha anche rafforzato la squadra internazionale di studiosi che lavora sul progetto.
Il traduttore si è reso conto che la prima bozza di traduzione consegnata nel 2015 non andava e ha ricominciato il lavoro da capo. Il problema della prima versione stava nel fatto che era troppo “elegante”. Di certo, ha pesato un dogma non scritto dell’editoria francese che mette al centro del lavoro del traduttore la bellezza stilistica del testo finale. Impossibile con Mein Kampf. “Il linguaggio [del libro] è disintegrato”, racconta Mannoni. La narrazione in prima persona è impregnata di odio, di frustrazioni, di voglia di vendetta che stravolgono i canoni stilistici e la punteggiatura.
Nella testa del traduttore l’autore del libro prendeva le sembianze di Charlie Chaplin de Il grande dittatore. “Mi sono dovuto trattenere, non volevo che le cose diventassero troppo leggere”, confessa ancora Mannoni a Le Monde. Delle volte invece si sentiva inebetito dall’orrore.
Il traduttore è convinto che ripubblicare il Mein Kampf commentato sia una cosa giusta per “vedere fino a che punto un pensiero malato d’oggi si ispiri a questo testo”. Col “pensiero malato” intende alcune frasi dei politici francesi di destra e estrema destra, tipo quella dell’europarlamentare dei Repubblicani, Nadine Morano, che ha definito la Francia “un Paese di razza bianca” nel 2015, destando scandalo. “Bisognerebbe conoscerlo [Mein Kampf] meglio, per non osare più dire cose simili”, sostiene Mannoni nell’intervista a Le Monde.
I diritti intellettuali sul Mein Kampf precedentemente in possesso del ministero delle Finanze del Land della Baviera, sono scaduti nel 2016, settant’anni dopo la morte dell’autore. Da qui le iniziative di alcuni editori di pubblicare il libro – in Germania la riedizione critica è uscita a gennaio – che hanno aperto una discussione sulla diffusione dell’opera a lungo considerata tabù. Mentre in Italia c’è stato il caso de il Giornale che ha distribuito con la sua edizione dell’11 giugno una copia del Mein Kampf. Atto condannato dall’Unione delle Comunità Ebraiche.
In Francia il Mein Kampf non è un libro proibito, ma non può essere esposto in una vetrina di un libraio. La traduzione integrale in francese del libro fu pubblicata nel 1934 (senza autorizzazione di Hitler e da lui querelata) dalla casa editrice vicina all’estrema destra, Nouvelles Éditions Latines. Ne vende ancora qualche centinaia di copie all’anno.
Quando nell’ottobre 2015 sulla stampa francese è trapelata la notizia sulla ripubblicazione di Fayard, fino allora mantenuta segreta, è scoppiato un dibattito. In una lettera aperta pubblicata sul suo blog, il politico di sinistra, Jean-Luc Mélenchon, si è opposto alla riedizione “del testo principale del più grande criminale dell’era moderna”. “Pubblicare vuol dire diffondere”, argomentava lui. Lo storico francese del nazismo, Christian Ingrao, ha obiettato, dicendo che il libro è già disponibile a tutti su Internet con due click, mentre, a suo avviso, è “necessario ripubblicare” il Mein Kampf con un commento storico per desacralizzarlo.