Gerusalemme e Gaza – Guerra e pace nella terra di Abramo. Una disamina di Massimo Giuliani

Libri

di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture] È chiaro che il pogrom del 7 ottobre 2023 è stato un crimine di dimensione storica, tale da costringerci a ripensare i limiti e gli obiettivi del conflitto mediorientale, l’efficacia della memoria della Shoà, la storia stessa dell’antisemitismo.

Dato che la guerra che ne è seguita è ancora in corso, almeno al momento in cui scrivo, e che le inchieste sulla dinamica dei fatti e le ragioni della vulnerabilità di Israele non sono ancora cominciate, le riflessioni su quel che è accaduto più che storiografiche sono state giornalistiche.

Il pensiero filosofico e religioso, cui certamente compete il compito di riflettere su una tragedia di questa entità, si è espresso finora solo per interventi piuttosto rari e occasionali; fuori dal mondo ebraico anche spesso solo con generici appelli alla pace.

È chiaro che ci sarà il tempo di studiare approfonditamente quel che è accaduto sia dal punto di vista storico-politico che da quello filosofico e religioso. Ma vale la pena di segnalare il solo piccolo libro che si è assunto tale compito, proprio a ridosso della strage. Si tratta di Gerusalemme e Gaza – Guerra e pace nella terra di Abramo (Scholé) di Massimo Giuliani.

Non si tratta di un’analisi delle dinamiche storico-politiche che hanno condotto alla crisi attuale, come l’immigrazione ebraica, la proclamazione dello Stato, le numerose guerre e ondate terroristiche che hanno segnato la sua storia, gli accordi di Oslo e il loro fallimento, l’abbandono forzato di Gaza, la violenta presa del potere sulla Striscia da parte di Hamas, i bombardamenti missilistici su Israele che ne sono venuti e la reazione israeliane; tanto meno della cronaca del pogrom e dell’autodifesa di Israele. Quel che vi si discute sono le “ragioni religiose” della guerra e le “condizioni culturali – e teologiche – di possibili percorsi di pace”.

Giuliani però non interroga queste radici dalla parte araba e musulmana, non considera per esempio il modo in cui gli ebrei sono diffamati nel Corano e nella tradizione islamica, né le regole che ne stabiliscono la discriminazione giuridica e neppure si occupa dell’idea della conquista irreversibile che è alla base del rifiuto musulmano di accettare uno Stato di Israele su un territorio appartenuto a uno Stato islamico come l’Impero Ottomano. La sua preoccupazione principale è trovare nella tradizione ebraica le regole e i limiti della guerra, e ancor prima quelli che definiscono le relazioni del popolo ebraico con la Terra di Israele. In questa discussione Giuliani parte dalla promessa biblica della Terra e dalla sesta parola del decalogo che proibisce l’omicidio, considera alcuni passi profetici, attraversa la teorizzazione talmudica della tipologia delle guerre, analizza la benedizione per lo Stato di Israele, introdotta nella liturgia dopo il 1948, e convoca alcuni autori scettici sul valore religioso dello Stato e delle guerre condotte per difenderlo, il cui più illustre è Yeshayahu Leibowitz. Questo breve libro scritto a caldo mette in gioco insomma numerosi temi importanti, innanzitutto quello dello statuto religioso dello Stato di Israele. Ma la legittimità della reazione al terrorismo dello Stato di Israele, cui Giuliani naturalmente esprime piena solidarietà, non dipende da questi temi, bensì dal diritto/dovere dell’autodifesa che riguarda le collettività come gli individui: “se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidi lui per primo”.