di Cyril Aslanov
[Ebraica. Letteratura come vita] Prima della Rivoluzione russa, la maggioranza dei cinque milioni di ebrei che vivevano nell’Impero degli Zar si trovavano in condizioni di povertà endemica. Solo il 5 per cento degli ebrei russi riuscirono a sottrarsi al ciclo della miseria e diventarono borghesi a cui era consentito vivere fuori della Zona di residenza. Questa fu la sorte della famiglia di Irène Némirovsky, nata a Kiev nel 1903 quando questa città era teoricamente vietata agli ebrei che non appartenevano alle categorie dei negozianti della prima e della seconda gilda (le migliori corporazioni).
Come accadeva nei circoli degli ebrei privilegiati, la famiglia di Irène nutriva un disprezzo profondo nei confronti degli ebrei dello shtetl, dello yiddish e delle ideologie redentrici che promettevano agli ebrei un avvenire migliore: sionismo; Bund; socialismo rivoluzionario. Si erano pure allontanati dalla pratica religiosa e frequentavano i non ebrei, cercando di dimenticare che gli aristocratici o i borghesi non-ebrei disprezzavano tutti gli ebrei, ricchi o poveri.
Dopo la sua immigrazione in Francia nel 1919, Irène Némirovsky continuò questa attitudine, che consisteva nell’allontanarsi dagli ebrei poveri e stigmatizzati nella loro condizione di ebrei, per ricercare la compagnia delle élite non-ebraiche anche quando queste ultime erano violentemente antisemite. Così si spiega la sua frequentazione di intellettuali dell’estrema destra francese: Pierre Grasset, il suo primo editore che pubblicò i Protocolli dei Savi di Sion nel 1931; l’antisemita Paul Morand; Pierre Drieu La Rochelle che cercava di conciliare socialismo con fascismo e che alla fine diventò membro del PPF (Parti Populaire Français) di Jacques Doriot, le cui posizioni naziste e collaborazioniste andavano ben al di là del fascismo di Vichy; André Chaumeix, il direttore della famosa Revue des Deux Mondes.
Nonostante le protezioni di queste persone influenti Irène Némirovsky non riuscì mai ad ottenere la cittadinanza francese. Forse per compensare questo fallimento nel processo di integrazione, la scrittrice si convertì al cattolicesimo insieme al marito Michel Epstein e alle due figlie Denise ed Élisabeth nel febbraio del 1939, pochi mesi prima dallo scoppio della guerra. Questo battesimo non salvò Irène e Michel né dall’arresto né dalla deportazione ad Auschwitz da cui non tornarono mai. Le due figlie Denise ed Élisabeth riuscirono a salvarsi grazie all’aiuto della loro tata Julie Dumot.
La relazione di Irène con quegli intellettuali della destra e dell’estrema destra era ovviamente asimmetrica. Per la scrittrice, frequentare quella gente era il solo modo di farsi pubblicare. Infatti, i diritti d’autore ottenuti grazie alla sua intensa produzione letteraria costituivano la sola risorsa di quegli ebrei borghesi rovinati dall’esilio e dalla crisi economica del 1929 che aveva ridotto a zero i loro portafogli azionari.
Per quei fascisti o futuri fascisti francesi, i libri di Némirovsky rappresentavano la conferma dei loro pregiudizi antisemiti. Eppure, questa convergenza di interessi risulta da un malinteso fondamentale: Némirovsky non era animata dall’odio di sé, ma piuttosto da una volontà di trasformare l’insieme delle sue esperienze biografiche in letteratura senza mitigare né edulcorare nulla. Si vede nel suo primo romanzo David Golder dove la giovane scrittrice (aveva solo 29 anni al momento della pubblicazione del libro) descrive in modo iperbolico la frattura sociale fra gli ebrei dello shtetl e gli ebrei arricchiti. Questa situazione è ispirata dalla propria esperienza famigliare poiché il padre di Irène (Irina) Leonid (Yehuda Leib) proveniva da un contesto ebraico povero, mentre la madre Anna Margulis era nata in una famiglia di borghesi della prima gilda.
Per rendere il tratto più espressivo, Némirovsky immagina che Gloria, figura ispirata dalla propria madre, è originaria da Kishinev e che il suo vero nome è Havke (gli ebrei dell’Ucraina consideravano con un certo disprezzo i loro fratelli della Bessarabia, la Moldavia di oggi). Ciò che gli antisemiti illustri (le frequentazioni di Némirovsky) o meno illustri hanno percepito come la manifestazione di un odio di sé compiacente all’antisemitismo era molto più semplicemente una volontà di scrivere solo su ciò che lei conosceva, in questo caso il destino complesso di certi ebrei che credettero ingenuamente di poter superare il loro destino ebraico: prima lasciando la miseria dello shtetl; poi frequentando circoli dove, sia in Russia sia poi in Francia, erano tollerati a prescindere dalla loro origine.