di Ugo Volli
[Scintille: letture e riletture]
Ci sono dei libri importanti perché affrontano con lucidità e originalità un argomento insufficientemente pensato; diventano ancora più importanti quando l’argomento, sebbene trattato superficialmente, è su tutti i giornali. Uno di questi libri, il primo da parecchio tempo che incontro, è The virtue of Nationalism di Yoram Hazony, filosofo israeliano e direttore del Herzl Institute di Gerusalemme, che conoscevo già come autore dell’interessantissimo The Philosophy of Hebrew Scripture. È un libro in inglese, ma vale la pena dello sforzo di leggere in lingua straniera, ed è facilmente acquistabile online.
Come dice il titolo, Hazony difende il valore della struttura politica basata sugli stati nazionali, che ritiene basata su un’intuizione biblica e poi ripresa nella tradizione politica che ha fondato la libertà occidentale, in particolare in Locke che ispirò la costituzione americana e la costruzione degli stati nazionali in Europa. A questa genealogia a noi italiani viene naturale aggiungere Mazzini, che ebbe influenza anche sul progetto nazionale del sionismo e in particolare su Herzl.
Per Hazony lo stato nazionale è il polo intermedio fra la struttura tribale, che assicura forti legami fra i membri della stessa tribù – ma produce la guerra incessante di tutti contro tutti, come si vede ancora oggi dove falliscono gli stati, per esempio in buona parte del Medio Oriente – e le ambizioni imperiali, che periodicamente riemergono nella politica mondiale. Gli imperi promettono di assicurare la pace e l’uguaglianza fra i loro sudditi, ma in realtà privilegiano un nucleo di fedelissimi, e soprattutto non possono sopportare l’indipendenza né delle loro popolazioni, né degli stati confinanti, sono dominati da un meccanismo espansivo che li induce a esercitare la loro potenza sempre più in là e dunque a non avere mai davvero pace fino a superare la loro capacità di controllo e collassare nel caos.
Esempi di impero sono non solo quello romano, ma anche quelli musulmani, il nazismo e Napoleone, l’Urss e attualmente, almeno in via potenziale, l’Unione Europea. Gli imperi sono sostenuti da ideologie universaliste, dal Cristianesimo all’Islam, dal marxismo fino a un certo illuminismo. Hazony contrappone il Kant della “pace perenne” a Locke e Mill, l’utopia dello stato universale all’esaltazione degli stati nazionali che coltivano la loro libertà e la particolarità dei loro costumi nei loro confini, senza volersi imporre agli altri. La superiorità delle nazioni sugli stati universali, secondo Hazony, deriva dalla loro differenza, che permette di sperimentare “dal basso” sistemi diversi di gestione e legislazioni, evitando quella programmazione universale astratta che quasi mai funziona, come ha mostrato eloquentemente in economia il comunismo. Ma soprattutto è determinata dal fatto che i connazionali, a differenza degli abitanti di un impero, condividono in grande maggioranza lingua, memoria, religioni, tradizioni, costumi e questo li induce ad accettare lo stato comune e i sacrifici che esso comporta, il che con gli imperi non avviene.
Un capitolo particolarmente interessante spiega la differente valutazione che ebrei da un lato ed europei “progressisti” dall’altro hanno dato del nazismo come una delle cause dell’ostilità che Israele si trova a subire dall’opinione pubblica, dai media e dai politici di sinistra. Mentre gli ebrei, spiega Hazony, hanno visto le persecuzioni naziste e la maggioritaria indifferenza dell’Europa come insegnamento della necessità di un proprio stato nazionale con cui difendersi, gli intellettuali e i politici europei hanno visto il nazismo come frutto del nazionalismo spinto al suo grado estremo. Per Hazony questo è un errore: la Germania nazista non rispondeva a un progetto nazionale, bensì imperiale, ed è stata proprio la proiezione imperialista a spingerla verso la caccia agli ebrei e al progetto di un genocidio universale.
Alla luce della discussione sulla recente legge israeliana sullo stato nazione e delle polemiche sul “sovranismo” (che in sostanza è un altro nome per il nazionalismo) si possono avere sul libro di Hazony idee diverse. Ma non c’è dubbio che la lucidità e l’approfondimento teorico ne fanno il termine necessario di ogni discussione attuale sulla grande scelta politica ed etica fra universalismo e nazionalismo. Una voce tanto più necessaria quanto più nei media e fra gli intellettuali l’opinione universalista è così maggioritaria da costituire quasi un “pensiero unico”.