di Nathan Greppi
Quando, da bambina, le piaceva curiosare dentro e fuori dalle librerie di Praga, la giovane Edita “Dita” Adlerova non immaginava che la sua passione per i libri sarebbe stata la sua salvezza. Nata nel 1929 in quella che allora era la capitale della Cecoslovacchia, in quanto ebrea venne deportata ad Auschwitz con tutta la sua famiglia, nel campo gestì a rischio della propria vita una biblioteca segreta per gli internati, quando nel campo anche solo possedere un libro era punibile con la morte.
La storia di Dita, che oggi vive nella città di Netanya in Israele, era stata raccontata già nel 2012 dal giornalista spagnolo Antonio Iturbe, nel suo romanzo biografico La bibliotecaria di Auschwitz. Recentemente, tale romanzo è stato a sua volta adattato in un fumetto da altri due spagnoli, lo sceneggiatore Salva Rubio e il disegnatore Loreto Aroca.
La storia parte da Praga, dove Dita passò un’infanzia felice fino al giorno in cui i nazisti occuparono il paese e imposero le prime restrizioni agli ebrei. In seguito, lei e i genitori vennero deportati prima a Terezín e poi ad Auschwitz, dove Dita vide da vicino la crudeltà dei nazisti, primo tra tutti il temuto Josef Mengele. Ma conobbe anche persone forti e di buon cuore, che la spinsero a non perdere mai la speranza: come Fredy Hirsch, un capo coraggioso e pieno di carisma che fece di tutto per tenere uniti e proteggere gli internati, specialmente i bambini. O come Otto Kraus, giovane cordiale che dopo la guerra divenne il marito di Dita, nonché uno scrittore impegnato nel tramandare la memoria della Shoah.
Interessante notare come la sezione in cui era internata, il Blocco 31, aveva un ruolo simile al già citato campo di Terezín: in un primo momento, vi si creavano condizioni di vita apparentemente buone per gli ebrei al fine di ingannare gli ispettori della Croce Rossa che venivano a verificare il rispetto dei diritti umani.
Sotto la guida di Hirsch, Dita si mise a conservare e aggiustare i libri per i detenuti, in modo che avessero occasioni per evadere dall’incubo che li circondava, rischiando ogni giorno di essere scoperta. Fu così che la sua passione divenne la sua salvezza.
L’utilizzo dei colori sembra rientrare in uno schema ben preciso: alla luminosità del sole nei momenti felici a Praga prima della guerra, si contrappone il grigio delle strade invase dalle truppe tedesche e del campo di concentramento. Mentre viene utilizzato uno sfondo rosso nei momenti in cui Dita prova paura e terrore molto forti.
Questa storia ci invita a non perdere mai la speranza: perché, come nei disegni alla fine, dopo il buio e la foschia torna a splendere il sole.
Salva Rubio e Loreto Aroca, La bibliotecaria di Auschwitz, traduzione di Francesco Ferrucci, pp. 136, 15,50 euro.