di Nathan Greppi
Dall’epoca della Guerra Fredda ad oggi, la sinistra italiana ha sempre avuto un forte interesse per il conflitto tra israeliani e palestinesi, che si è spesso, purtroppo, trasformato in un’ostilità più o meno accesa e militante verso lo Stato Ebraico. I motivi sono noti e diversi: l’adesione alla politica sovietica, filoaraba per ragioni geopolitiche; la passiva accettazione di stereotipi sullo pseudo – “colonialismo” di Israele; il “terzomondismo” acritico post-sessantotto; l’interesse ad allearsi con gli arabi per avere un profitto economico derivato dai cosiddetti “petroldollari”. Di questo interesse racconta il saggio La sinistra italiana e il conflitto israelo-palestinese, scritto dal giovane analista Danilo Delle Fave e rivolto soprattutto a un pubblico di non esperti che vogliono sapere di più sull’argomento.
Il libro prende in esame soprattutto il periodo che va dalla nascita del sionismo fino agli anni ’70 e, dopo un excursus sulle radici storiche del conflitto, passa a raccontare i diversi approcci che i vari partiti della sinistra italiana dell’epoca, e in particolare il PCI e il PSI, hanno adottato in merito: dall’idealizzazione iniziale del socialismo alla base dei kibbutz ad un approccio più critico dopo la Crisi di Suez, che ha portato il PCI e l’ala più radicale del PSI a schierarsi platealmente contro Israele; soprattutto dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Sebbene il testo sia molto approfondito sul piano storico, a volte l’autore sembra sposare acriticamente le tesi della sinistra radicale, ad esempio mettendo in dubbio le basi socialiste della sinistra israeliana delle origini; oppure quando, parlando del sostegno a Israele del leader socialista Pietro Nenni, dimentica di dire che questo era dovuto anche al fatto che aveva perso la figlia ad Auschwitz.
Danilo Delle Fave, La sinistra italiana e il conflitto israelo-palestinese. Dalla nascita dello Stato d’Israele agli attentati di Settembre Nero, Intermedia Edizioni, pp. 374, 14 euro.