Il potere delle parole: un dialogo fra Erri De Luca e Marc-Alain Ouaknine

Libri

di Esterina Dana
Che cosa hanno in comune tra loro la torre di Babele, la raccolta della manna nel deserto e un passo del libro di Qoèlet? Come si collegano con l’arte della traduzione, fil rouge dell’ultimo cammeo della casa editrice Giuntina, uscito nella collana Le Perline (Erri De Luca e Marc-Alain Ouaknin, Cucire un’amicizia. Conversazioni bibliche)?

Il testo è la trascrizione dal francese di un incontro fra i due autori organizzato da Ruben Honigmann, giornalista e direttore editoriale di Akadem. I due amici, le cui diverse esperienze formative convergono nella fascinazione del testo biblico e in una reciproca ammirazione, dialogano con una rutilante passione per la parola, “cucendola alla vita su cui poggia”. Le parole chibur (cucitura), chaver (amico), chevrà (società), chavrutà (studio dialogico) unite dalla medesima radice, descrivono ab origine il metodo che caratterizza tutto lo scritto: a domande si susseguono risposte che ne generano di nuove, le quali ampliano e arricchiscono le interpretazioni in un infinito caleidoscopio semantico.

Nel brano della torre di Babele, l’intervento divino che separa le lingue provoca dispersione e sradicamento. Apparentemente una punizione, si rivela invece un’opportunità per superare l’omologazione del mondo globalizzato e valorizzare la diversità. Così l’opera di traduzione non consiste solo nel trasferire parole da una lingua all’altra ma, come la migrazione, mette in  relazione culture differenti. Parole come davar  (parola), dvorà (ape), davur (zattera), dever (pestilenza), midbar (deserto), derivanti dalla medesima radice semantica, riportano al brano della torre di Babele dove la disseminazione dei popoli diventa motore di traiettorie.

Inoltre, la traduzione implica la polisemìa, peculiarità della lingua ebraica. Parole che portano in sé il riverbero di almeno due significati a volte opposti –  fenomeno che Ouaknin chiama anfibologia – aprono spazi interpretativi infiniti. Termini chiave contengono connessioni profonde, come safà (lingua / riva), che richiama un legame tra comunicazione e viaggio. La sfida della traduzione riflette questa complessità.

Il miracolo della manna nel deserto suggerisce il legame tra traduzione e fraternità. La manna, nutrimento quotidiano inviato da Dio al popolo ebraico, diventa simbolo del rapporto tra parola e comunità: come il pane, anche la lingua nutre e crea connessioni. La manna, inoltre, evoca la domanda irrisolta (man hu, “che cos’è?”), che riporta al carattere interrogativo della traduzione laddove non esiste una risposta definitiva.

Anche il libro di Qoèlet esalta la sfida della traduzione. De Luca e Ouaknin analizzano il celebre incipit “vanità delle vanità”, che diventa terreno di sperimentazione. Alla versione di De Luca, “spreco di spreco”, si affiancano quelle di altri studiosi come André Chouraqui, “fumo di fumo”, e André Neher, “vapore e condensa”. Ciò a ribadire che l’interpretazione della parola biblica è inesauribile, come la natura stessa della rivelazione divina, sostiene Ouaknin: non codice statico, ma racconto in movimento che unisce mondi diversi, attualizzando un patrimonio antico.

Infine, l’illuminante Postfazione di Marc-Alain Ouaknin chiarisce lo scopo del traduttore: non solo esprimere il rapporto intimo che si crea tra due lingue, ma anche garantire la sopravvivenza dell’originale, per favorirne la crescita e permetterne la trasformazione. Per questo motivo “tradurre è sempre iniziare” come se si leggesse il testo per la prima volta. Ciò consente al traduttore di usare liberamente “nuove parole, una nuova sintassi, una nuova comprensione del testo originale” e  di offrire così una nuova prospettiva sul mondo e sull’altro da sé.

 

Erri De Luca e Marc-Alain Ouaknin, Cucire un’amicizia. Conversazioni bibliche, trad. Giorgio Berruto, Le Perline, Giuntina, 2024