di Roberto Zadik
Scrittore, giornalista, combattente e ribelle solitario e coraggioso, l’intellettuale tedesco Armin Wegner ha avuto una vita a dir poco avventurosa, lottando contro le ingiustizie e arrivando al punto di scrivere nientemeno che ad Adolf Hitler. Il complesso e affascinante mondo interiore di Wegner e le sue numerose battaglie in nome del Bene e dei diritti delle minoranze perseguitate, viene ricostruito nel bel libro di Gabriele Nissim Lettera a Hitler-Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento (Mondadori, pp. 304, euro 20,00).
Ma non si tratta della solita biografia divisa per date e luoghi. Infatti questo libro è una raffinata analisi psicologica e storica dei tormenti del Novecento e della Germania nazista ed un suggestivo ritratto umano di un grande tedesco come Wegner che, come gli scrittori Hermann Hesse e Thomas Mann e l’attrice Marlene Dietrich, si oppose alla bestialità del regime hitleriano, e ancor prima al massacro degli armeni e a qualsiasi violenza e sopruso nelle sue tante missioni in vari Paesi: dalla Turchia, alla Russia, all’Iraq, alla Palestina prima della nascita dello Stato di Israele fino al ritorno nella sua Germania. Nissim, saggista e giornalista, presidente di Gariwo la Foresta dei Giusti, racconta la vita di questo scrittore – ateo, idealista, patriottico e ferito dal suo Paese – in maniera del tutto insolita e accattivante.
Tutto comincia infatti nel lontano 1965, 20 anni dopo la Shoah e la Seconda Guerra Mondiale, quando Johanna, una disorientata studentessa tedesca in cerca di lavoro, arriva a Roma e legge sul Messaggero un enigmatico annuncio: “Poeta tedesco ricerca segretaria tedesca”. Subito la ragazza si precipita a telefonare al misterioso inserzionista ed entra così nella vita e nel mondo di Armin Wegner e della sua nuova famiglia, composta dalla moglie Irene Kowaliska e dal figlio Mischa.
Gabriele Nissim ci porta attraverso le parole di Johanna in un viaggio a ritroso nel tempo e nella psicologia di Wegner. All’inizio sembra molto schivo, “parlava solo coi suoi libri e la sua macchina da scrivere”; inaspettatamente però il letterato, imprevedibile come sempre, le domanda di ricopiare a macchina la sua lettera a Hitler, scritta molti anni prima, nel 1933. A quel tempo, Wegner era sposato con una donna ebrea, Lola Landau, e dal loro matrimonio era nata nel 1923 una figlia, Sybille. Probabilmente per amore verso la donna o per innata simpatia verso gli ebrei, Wegner decise di scrivere a Hitler, pensando ingenuamente di fargli cambiare idea, di convincerlo che “l’eliminazione degli ebrei sarebbe stata uno svantaggio per la Germania”, sottovalutando i pericoli del nazismo.
Pochi giorni dopo quella missiva, Wegner venne accusato di attività sovversiva, arrestato dalla polizia segreta, torturato, picchiato e internato in prigioni e in ben tre lager per farlo tacere. Fu rilasciato nel 1934. Poi ci furono anni di silenzio, di dubbi e ripensamenti ma Wegner si distinse, in vari momenti della sua vita, per il suo coraggio. Nato il 16 ottobre 1886 a Elberfeld, in Germania, Wegner aveva avuto un’infanzia dolorosa e solitaria, schiacciato da un’educazione molto severa e vessato dai compagni; sviluppò sin da piccolo il suo senso di giustizia e l’empatia verso i più deboli, provando da subito simpatia per il suo compagno ebreo Fritz isolato da tutti. Proprio le sue sofferenze lo spinsero ad affrontare in prima persona tantissime battaglie con coraggio e determinazione.
Laureatosi in Giurisprudenza, fece diversi lavori e andò in missione come soldato e poi come cronista in Iraq e in Turchia, arruolandosi nelle truppe del feldmaresciallo Von Der Goltz. Conobbe così da molto vicino le sofferenze del popolo armeno, i massacri perpetrati dai “Giovani Turchi”, e si schierò in sua difesa, come poi farà per i diritti degli oppressi e delle minoranze. «Nel 1915 lasciò la Germania e gli orrori della Prima Guerra Mondiale dopo aver espresso il suo pensiero pacifista e cosmopolita. Si sentiva – sottolinea Nissim, – in sintonia con tutti coloro che avevano l’idea di Europa come comunità di popoli, la cui convivenza pacifica avrebbe significato la fine di ogni pretesa di superiorità di un popolo sull’altro». Molto interessanti sono i dialoghi fra Wegner e Johanna sulla Germania. “Mi sono sempre vergognato del mio popolo e di me stesso. Nessuno poteva uscire da quel campo senza essere sporcato a sua volta. Non possiamo dire che sono stati altri a commettere quei crimini perché siamo stati tutti noi, io sono nato tedesco”.
«Armin poteva sembrare un Don Chisciotte – prosegue Nissim – quando si rivolgeva direttamente ai potenti della terra ed era convinto che le cicatrici del male si potessero rimarginare. Aveva scritto a Hitler, per salvare gli ebrei, al presidente americano Wilson per perorare la causa degli armeni, a Nasser quando si stava per scatenare il conflitto in Medio Oriente. Erano lettere destinate a restare senza risposta, ma a differenza degli altri tedeschi, almeno lui ci aveva provato».