di Jonathan Misrachi
«Lina Gentilli è una presenza e un’assenza: compare, scompare e riappare tra le pagine del libro di cui è protagonista». Il libro in questione è Una degna figlia di Israele – Lina Gentilli di Giuseppe (San Daniele del Friuli 1883 – Venezia 1901), una trattazione storica di Valerio Marchi che prende spunto dalla breve vita della ragazza ebrea friulana per trattare diverse questioni di forte impatto culturale del tempo. Nel corso del libro, diverse fonti della stampa periodica ebraica del tempo vengono utilizzate dall’autore come strumento di documentazione storica: Il Vessillo Israelitico e il Corriere Israelitico su tutti che, oltre a trattare tematiche di interesse generale, riflettevano costantemente anche le varie realtà locali dell’ebraismo italiano. La trattazione,con i suoi riferimenti storico-giornalistici, viene spesso intervallata nel corso del libro dai versi di sommi poeti come Petrarca, Manzoni, Pascoli, Leopardi, Foscolo, e l’autore stesso, oltre ad altrettanti numerosi riferimenti di intellettuali come Martin Buber, Federico Luzzatto e Felice Momigliano fra i tanti. È proprio una citazione di Felice Momigliano che introduce all’interno del testo uno degli argomenti centrali del dibattito intellettuale ebraico: «Il problema ebraico è sempre di attualità: è di ieri non meno che d’oggi perché è eterno (…) Interessa teologhi, sociologhi, economisti, filosofi, antropologhi, appunto perché lo spirito ebraico che è lo spirito di un popolo che si ostina a non voler morire compenetrò nei secoli tutta la vita, in tutte le sue manifestazioni. Vero è che, per troppi contrassegni, nei paesi occidentali questo spirito tende a sminuire di intensità. Il pericolo è universalmente notato e deplorato od esaltato a seconda degli umori degli osservatori: ma il fatto non può essere negato». Dall’emancipazione sancita nel biennio 1848-1849 all’emanazione delle leggi razziali nel 1938 le comunità ebraiche italiane e i suoi membri ebbero un’importante e difficile fase di sperimentazione di nuovi modi di vivere e auto-rappresentarsi all’interno delle società in cui erano integrati; per la prima volta emancipati vissero comunque decenni in cui la loro identità fu messa a dura prova, dalle influenze del nazionalismo locale e dalla nascita del sionismo. In questo contesto storico-politico si inserisce il secolare problema della diversità religiosa e dell’assimilazione, di un ebraismo italiano senza certezze e che non sa ancora in che direzione vuole andare.
«Così, davanti al pericolo inevitabile di uno spirito europeo espansivo, essendo inevitabile che l’isolotto ebraico sarebbe stato prima o poi definitivamente ingoiato dal mare infido della civiltà occidentale, l’unico rimedio, l’unica profilassi efficace contro l’assimilazione si rivelava il ritorno in Palestina, laddove la coltivazione del sacro suolo avrebbe ridato vigore a tanti ebrei un po’ malconci dalla vita urbana e avrebbe fatto scomparire la loro nevrosi, mentre la creazione di una nazione ebraica avrebbe fatto rivivere e intensificare la cultura ebraica». Ma cosa c’entra in tutto ciò la ragazza Lina Gentilli? La micro-storia della protagonista si alterna alle analisi storiche e alle grandi questioni politiche e religiose che Lina avrebbe affrontato nel corso della sua vita.