Copertina del libro 'In barba a H'

“In barba a H”: presentato alla Claudiana il libro di Oliviero Stock

Libri

di Nathan Greppi
Quando, nella prima metà del ‘900, ebbero luogo gli orrori della Shoah e dei campi di sterminio, le responsabilità non furono solo dei nazisti; quei fatti furono resi possibili anche dalla complicità e dall’indifferenza di gran parte dell’Europa, in paesi dove l’antisemitismo aveva radici forti da molto prima dell’avvento del nazismo. Altrettanto colpevole fu l’Impero britannico, che scoraggiò l’emigrazione ebraica nella Palestina Mandataria, bloccando molti profughi ebrei che emigrando avrebbero potuto scampare al genocidio. Molti respingimenti avvennero anche ai confini della neutrale Svizzera, così come da parte degli Stati Uniti e del Canada.

Tutte queste responsabilità riemergono nel libro biografico In barba a H (dove H sta per Hitler) del docente triestino Oliviero Stock, il quale ha raccontato la storia di come la sua famiglia riuscì a salvarsi dopo molte peripezie. Il libro è stato presentato mercoledì 27 aprile presso la Libreria Claudiana di Milano (si può rivedere il video sul sito di Radio Radicale cliccando qui), in un dibattito organizzato dall’Associazione Milanese Pro Israele (AMPI).

Da sinistra: Andrea Bienati, Ugo Volli, Oliviero Stock e Alessandro Litta Modignani

 

Dopo i saluti introduttivi del presidente AMPI Alessandro Litta Modignani, ha preso la parola Andrea Bienati, docente di Storia e didattica della Shoah presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano, il quale ha spiegato che per provare a capire cosa sia stata la Shoah occorre narrare le storie e i volti di chi ha vissuto in quel periodo. Ha raccontato che quando visita con i suoi studenti i musei dell’Olocausto in Polonia, molti nomi sono assenti o sono stati riportati male; questo perché molti sono stati dimenticati, e invece secondo lui i nomi vanno ricordati e tramandati per il futuro.

Per lui il bello del libro sta nel fatto che è “una storia di vita”; spesso ci si sofferma troppo sul vissuto delle vittime durante la guerra e non su quello che hanno fatto dopo, eppure in molti sono riusciti ad andare avanti e a vivere appieno la propria vita.

Sempre a proposito del libro, il semiologo Ugo Volli lo ha definito “importante” perché “è fatto con una alternanza di soggettività dell’autore, del diario dei suoi antenati e storie in terza persona, e questa specie di polifonia permette di capire molto in dettaglio la storia di famiglia di cui stiamo parlando.” È un libro che “permette di capire le tattiche dell’esistenza che, non solo durante la Shoah ma anche prima, portano all’insediamento di famiglie ebraiche” le quali, seppur di umili origini, riuscirono a raggiungere la prosperità perseguendo un ideale borghese, e “applicano queste tattiche” per capire il modo in cui si posiziona il nemico, al fine di individuarne i punti deboli.

Ha aggiunto che “questa storia presenta una continuità di paesaggio tra luoghi molto diversi.” Esso da l’idea dell’ampiezza delle atrocità perpetrate dai nazisti, ma anche della diffusione delle famiglie ebraiche che viaggiarono da un luogo all’altro in cerca di una vita migliore, spinta da una “volontà di normalità”, di avere la possibilità di realizzarsi e raccogliere i frutti del proprio impegno.

“Questo è un libro con storie di salvezza, che per buona parte riguardano una fase iniziale delle persecuzioni,” ha spiegato Oliviero Stock nel suo intervento. Con le storie narrate “da una parte cerco di mostrare come le persecuzioni erano terribili, ma anche che c’erano degli spiragli.” Ha illustrato come furono anche molti eventi casuali e fortunati a determinare la salvezza dei suoi genitori; ad esempio, mentre cercavano di prendere un treno a Firenze per fuggire, ci fu contemporaneamente un attentato partigiano che uccise diversi fascisti, i quali pertanto concentrarono la loro attenzione sui partigiani e ignorarono gli ebrei. Ciò offrì a questi ultimi la possibilità di partire senza essere scoperti.