di Jonathan Misrachi
“L’ipotesi su cui si fonda questo lavoro è che l’immagine dello Stato d’Israele presente da decenni nella sinistra italiana – cioè quella di uno Stato aggressivo, espansionista, militarista, violento, razzista e colonialista (…) – è stata costruita in occasione della Guerra dei Sei giorni”. Con questa frase Valentino Baldacci introduce il suo nuovo libro 1967 – Comunisti e socialisti di fronte alla guerra dei Sei giorni pubblicato dalla casa editrice Ad fontes. L’autore, professore di Scienze Politiche nell’Università di Firenze, racconta gli sviluppi delle posizioni che il Partito Comunista e il Partito Socialista hanno preso nei confronti del conflitto mediorientale nel 1967, tramite l’analisi della stampa comunista e socialista, in particolare dei rispettivi organi ufficiali L’Unità e Avanti! ma anche i periodici, protagonisti dello scenario culturale della sinistra del tempo. Valentino Baldacci racconta al Bollettino che «dopo la guerra che ha coinvolto Israele e l’area circostante nel 1967 si sono venuti a creare diversi stereotipi che ho elencato all’inizio del libro, e questi, in parte, durano tutt’ora».
Un elemento storico-ideologico, su cui sono basate le teorie dell’autore, è che l’influenza dell’URSS nei confronti della sinistra italiana fu decisiva, come d’altronde succedeva in diversi campi della politica. Il Partito Comunista Italiano era in quel periodo ancora marcatamente filosovietico e la decisione dell’Unione Sovietica di tagliare i rapporti diplomatici con lo Stato ebraico condizionò nettamente le future mosse del PCI. Buona parte del libro è dedicata all’approfondimento dei punti di vista adottati da comunisti e socialisti. Dallo studio emerge un grande divario fra le rispettive posizioni: mentre il PCI e i suoi esponenti espressero fin da subito una netta condanna alla “politica espansionista” perseguita dallo Stato d’Israele e dal suo esercito in seguito all’esplosione degli scontri ai confini del Paese, i socialisti, al tempo guidati da Pietro Nenni, chiarivano le proprie posizioni appoggiando lo Stato ebraico ma dimostrando nel contempo una solidarietà anche nei confronti dei popoli arabi sconfitti, pur criticando pesantemente i loro dirigenti politici.
Questo scontro fra comunisti e socialisti sul tema del conflitto mediorientale rientra in un più ampio contesto, il duello fra le due fazioni per conquistare l’egemonia politica della sinistra italiana, ottenuta poi, come racconta la storia, dal Partito Comunista. Il volume offre poi diversi capitoli di approfondimento sulle idee delle personalità politiche rilevanti nella sinistra italiana, attraverso una raccolta di lettere e articoli. Come spiega l’autore del libro «La stampa, allora, era l’elemento centrale nel quale si sviluppava il dibattito politico e l’unico modo in cui si potevano diffondere opinioni e idee era questo. Nelle mie ricerche sull’argomento le risorse giornalistiche e epistolari sono state indispensabili». Il ruolo di Giorgio Napolitano è sicuramente interessante in prospettiva di ciò che diventò decenni dopo: «egli fu senz’altro uno dei primi a rivedere le proprie posizioni. – racconta Baldacci – Nel capitolo dedicato al futuro Presidente della Repubblica vi è una relazione, riguardante la politica estera, che gli fu affidata dal partito. In questo rapporto emerge come Napolitano si ostini a condannare le mosse dello Stato ebraico, per dimostrare il suo legame con le logiche di partito, ma d’altra parte si nota un avvicinamento alle ragioni d’Israele, giustificando implicitamente la guerra preventiva che aveva scatenato».
Le argomentazioni dei parlamentari comunisti Emilio Sereni (fratello del celebre Enzo, primo pioniere sionista italiano della storia) e Piero Della Seta sono particolari, viste le loro origini ebraiche. Le analisi dedicate a loro mostrano come i due politici decisero di seguire la linea del partito, contro Israele, nonostante l’identità ebraica, al contrario di ciò che fece un altro celebre ebreo comunista, Umberto Terracini, che difese lo Stato ebraico. Sereni e Della Seta fecero riferimento alle loro esperienze familiari e personali per sostenere le loro opinioni, come dimostrano le parole di Sereni: “I miei più cari parenti vivono in Israele, altri furono massacrati perché antifascisti o perché ebrei, io stesso sono stato più volte a un passo dalla fucilazione. Vittima di persecuzioni razziste posso affermare senza esitazioni che uno Stato non si può fondare sull’umiliazione dei Paesi vicini, senza andare incontro a una tragedia. Eppure questo ha fatto Israele”. L’influenza di questi avvenimenti storici nel corso del rapporto fra la sinistra italiana e Israele è netta; nonostante ciò, Baldacci considera positiva l’evoluzione che sta avvenendo all’interno del Partito Democratico, alla luce di ciò che è successo il 25 Aprile a Milano, con le bandiere della Brigata ebraica accanto a quelle del PD, anche grazie alla presenza di esponenti ebrei nel Partito: «Quello che sta succedendo è la dimostrazione che nella politica italiana, e nel PD in particolare, è in atto un cambiamento, soprattutto grazie all’intervento di Renzi e dei suoi sostenitori; ma la situazione è frammentata e da analizzare, non sono sicuro che piega prenderà».