Israele: la visione di pace di David Grossman. Illuminare le tenebre nel caos delle coscienze e dei conflitti globali

Libri

di Marina Gersony
Sarebbe da pubblicare in tutte le lingue il libro di David Grossman intitolato La pace è l’unica strada (Mondadori; traduzioni di Alessandra Shomroni, Raffaella Scardi; pp. 96; €16). Questo piccolo ma potente pamphlet, in cui sono stati raccolti alcuni interventi dello scrittore sulla parabola politica di Israele e sulle dinamiche che alimentano la violenza, fino all’attacco terroristico del 7 Ottobre da parte di Hamas, è un’opera densa di significato, ricca delle parole di cui l’umanità ha bisogno in un periodo storico segnato da conflitti, atrocità e instabilità. Con semplicità e franchezza, Grossman parla al cuore dei lettori, affrontando il tema universale della pace, presente in tutte le religioni e aspirazioni umane, con uno sguardo particolarmente attento e addolorato sul suo amatissimo Israele.

Il libro raccoglie una serie di articoli apparsi su Repubblica e sul Corriere della Sera e un paio di inediti in Italia: Che cos’è uno Stato ebraico? (3 giugno 2023) e Il diritto alla felicità. Discorso tenuto alla cerimonia di consegna del Premio Erasmus ad Amsterdam (29 ottobre 2022), in cui lo scrittore israeliano riflette sulle dinamiche che alimentano il circolo vizioso della violenza, fino ai tragici eventi del 7 ottobre, nuova miccia di un conflitto mai sopito e che sembra destinato a non avere fine.

Tra i narratori contemporanei più importanti e amati, Grossman non esita a criticare le azioni del suo governo e della classe dirigente del Paese, denunciando con forza un profondo senso di tradimento nei confronti dei cittadini e dei valori fondamentali. Tuttavia, nonostante la durezza della realtà descritta, egli mantiene viva la speranza per un futuro di pace e convivenza equa. Scrive: «È una sensazione profonda di tradimento. Tradimento dei cittadini da parte della politica. Tradimento di tutto quanto abbiamo caro come cittadini, come cittadini di questo nostro Paese. Tradimento del significato speciale che ha e che lo vincola. Tradimento del bene più prezioso di tutti – il focolare nazionale del popolo ebraico – affidato ai nostri leader da custodire. Avrebbero dovuto trattarlo con riverenza, nient’altro che riverenza. E invece cosa abbiamo visto?  […]. Basti pensare a cosa abbiamo consentito accadesse per anni. Basti pensare a quanta energia, pensieri e denaro abbiamo sprecato restando a guardare la famiglia Netanyahu con tutti i suoi drammi in stile Ceaușescu, con gli imbrogli grotteschi che inscenava davanti ai nostri occhi attoniti. Negli ultimi nove mesi milioni di israeliani, lo sapete, hanno manifestato settimana dopo settimana contro il governo e il suo capo. È stato un movimento importantissimo che ha cercato di riportare Israele a se stesso, alla idea grande e nobile alla base della sua esistenza: creare uno Stato che fosse la casa del popolo ebraico. E non una casa qualunque. Milioni di israeliani volevano creare uno Stato liberale, democratico, pacifico, pluralista, rispettoso della fede di ciascuno.  Invece di ascoltare le idee del movimento di protesta, Netanyahu ha scelto di oltraggiarlo, tacciarlo di tradimento, aizzare gli animi fomentando l’odio tra le parti. Ma non ha mai perso occasione di dichiarare quanto Israele fosse forte, risoluto e, soprattutto, pronto ad affrontare qualsiasi pericolo. Raccontalo oggi ai genitori pazzi di dolore e al bambino lanciato sul ciglio della strada. Raccontalo agli ostaggi che in questo momento vengono spartiti come caramelle umane tra le varie organizzazioni. Raccontalo a chi ti ha votato. Raccontalo alle ottanta brecce nel muro di separazione più sofisticato del mondo. Ma non inganniamoci, non facciamo confusione: con tutta la rabbia che possiamo nutrire nei confronti di Netanyahu, dei suoi accoliti e della sua strada, non è Israele ad aver commesso delle atrocità in questi giorni. È Hamas […]: Non so se chiamare quei terroristi “belve”, ma di certo non hanno sembianze umane».

Lo scrittore, malgré tout, continua anche a professare la sua speranza per un futuro di pace, in cui tutti possano sentirsi protetti e rappresentati equamente, preservando le proprie storie e tradizioni senza sopprimere quelle degli altri.

Il suo vuole essere un messaggio universale, un inno alla comprensione profonda del concetto di pace e non belligeranza, una sacra aspirazione per l’evoluzione stessa della condizione umana. Tuttavia, la cruda realtà ci mostra come l’umanità, nel corso dei millenni, abbia persistito nel cercare soluzioni distruttive ai conflitti, sia a livello individuale che collettivo, affinando sempre più un istinto bellico ancestrale. Oggi, sebbene i mezzi siano mutati, trasformandosi da primitivi a sofisticati e distruttivi, grazie alle invenzioni scientifiche e all’intensificato utilizzo della tecnologia, il nucleo di questa propensione rimane drammaticamente intatto.

In questo contesto, le parole sagge di Grossman anticipano le nostre stesse riflessioni, invitandoci a scrutare profondamente il significato e l’essenza della pace nelle nostre vite, a un livello che va oltre la mera convenzione. Sono inviti alla meditazione, al confronto interiore con i nostri valori più profondi, e alla consapevolezza della necessità di coltivare e preservare la pace come fondamentale principio guida delle nostre esistenze.

Il capitolo iniziale del libro si apre con parole toccanti dedicate a tutti i bambini che hanno vissuto gli orrori della guerra sulla loro pelle e nell’anima. Basterebbe questo per sottolineare le conseguenze devastanti che il conflitto produce in ogni individuo, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa o nazionale, e di come ciò influenzerà inevitabilmente la loro coscienza da adulti: «Un’intera generazione di bambini a Gaza e ad Ashkelon presumibilmente crescerà e vivrà con il trauma dei missili de bombardamenti delle sirene – scrive lo scrittore –. A voi bambini nelle cui coscienza e questo conflitto inciso davvero io sento il bisogno di chiedere scusa perché non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana qui ogni bambino di questo mondo ha diritto. L’ultima guerra dimostrata una volta di più fino a che punto le due parti, Israele e Hamas, sono prigionieri del letale circolo vizioso da loro stessi creato. Fino a che punto agiscono ormai da decenni come un meccanismo automatico capace solo di ripetere le stesse azioni, ancora e ancora, con forza sempre crescente […].  Perciò la vera lotta oggi non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti – delle due parti – anelano a vivere in pace in una convivenza equa e quanti – dalle due parti – si nutrono psicologicamente e ideologicamente di odio e violenza. Magari riuscissimo a ristabilire e irrobustire le forze sane delle due società coloro che fra noi si rifiutano di diventare collaborazionisti della disperazione! Così, se anche dovesse scoppiare un’altra ondata micidiale come questa – e io temo che scoppierà di tanto in tanto – potremmo resisterle in modo lucido e maturo, come sembra stia accadendo già in questi giorni con un’infinità di incontri dibattiti e iniziative straordinarie […]. Una speranza grazie alla quale rimane possibile ritrovare la strada quasi perduta, la strada tortuosa e ardua per vivere qui insieme, in completa uguaglianza e in pace, arabi, ebrei, esseri umani».