di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Dopo la Shoah, per qualche decennio, il discorso antisemita fu espulso dal dibattito pubblico, almeno nei paesi democratici occidentali. A partire dalla fine degli anni Sessanta, prese però peso la condanna dello Stato di Israele, promossa dall’Unione Sovietica e in generale dalla sinistra. Progressivamente il “rifiuto delle politiche del governo di Israele” si mostrò per quel che era: antisionismo prima, cioè rifiuto della legittimità stessa dello Stato di Israele; e quindi antisemitismo sempre meno velato, perché proprio agli ebrei, fra tutti i popoli del mondo, si negava il diritto all’autodeterminazione nazionale.
Da qualche tempo ormai, ma in particolare nell’ultimo anno, l’antisemitismo è aperto, senza schermi. Gli ebrei sono tornati nemici dell’umanità, o almeno della nuova sinistra che coltiva la “religione dei diritti” ed ha sempre più importanza politica e giornalistica.
Secondo la teoria della “intersezionalità” che regna in questi ambienti ed è ormai abbastanza potente non solo per dominare le università anglosassoni e le piazze americane dov’è nata, ma per influenzare profondamente l’amministrazione Biden, il mondo si dividerebbe in due grandi aree. Da un lato vi sarebbero tutti i “bianchi”, gli eterossessuali, in genere coloro che non sono transessuali e sono perciò detti “cis”, i capitalisti, gli uomini, la cultura occidentale. Costoro sarebbero gli oppressori.
Gli oppressi sarebbero invece i “neri”, gli omosessuali e in particolare i transessuali e i “fluidi”, i musulmani, in particolare i palestinesi. È chiaro che se tutti i musulmani e tutti i palestinesi, inclusi i terroristi, sono “oppressi”, Israele non può che appartenere al campo degli oppressori e dunque qualunque cosa faccia, anche semplicemente impedire che i razzi degli “oppressi” di Hamas raggiungano la popolazione civile, è male e va combattuta. Ma c’è di peggio: tutti gli ebrei, israeliani o meno, vanno classificati dalla parte dei “bianchi” e dunque degli oppressori. Anzi, dato che hanno una religione e una cultura che tengono cara e difendono, sono “suprematisti bianchi”, la categoria peggiore. Questo è il quadro allucinante che emerge dall’ultimo libro di Fiamma Nirenstein, una giornalista e politica ebrea che non ha paura di dire quel che vede. Non a caso il suo titolo rovescia lo slogan del movimento americano che riempì le pagine dei giornali qualche mese fa. Invece di “Black lives matter” (le vite dei neri contano), Nirenstein ha dato al suo pamphlet il titolo Jewish lives matter (Casa Editrice Giuntina) cioè anche “le vite degli ebrei sono importanti”. Leggendo il libro si vede benissimo quel che tutti sanno, cioè che l’autrice non è affatto contro i neri, anzi, è contro ogni razzismo. Ma il pericolo più urgente oggi, come mostrano tutte le statistiche, è proprio quello contro gli ebrei e Israele. Ma non si tratta di un danno solo per loro, spiega Fiamma Nirenstein. La discriminazione contro gli ebrei storicamente ha danneggiato tutte le società in cui si è manifestata. Oggi è un pericolo per tutto il mondo. Un libro importante, pieno di passione, ricco di informazioni, che bisogna leggere e far leggere per capire i pericoli del nostro tempo.