di Ugo Volli
[Scintille. Letture e rilettura] Che l’Unione Sovietica abbia appoggiato, difeso ed armato a partire dagli anni Cinquanta i peggiori regimi arabi, da Nasser ad Assad a Saddam, è cosa ben nota. Meno noto è il rapporto che i regimi comunisti hanno avuto col terrorismo palestinese. Nel corso degli anni sono usciti però molti documenti che attestano anche in questo caso non solo un appoggio politico, ma forniture di armi e di informazioni dettagliate, addestramento, rifugio logistico. Di particolare rilievo sono le carte della Stasi, il servizio segreto della Germania Est, sia perché i documenti sono stati resi pubblici, come invece non è accaduto per la Russia e gli altri paesi dell’ex blocco sovietico; ma soprattutto perché la Stasi è stata particolarmente attiva in questo campo, mediando anche fra terrorismo palestinese ed europeo, col coinvolgimento di gruppi molto pericolosi fra cui la “Banda Baader Meinhof” e le Brigate Rosse. Qualche anno fa è uscito un libro molto documentato su queste collaborazione, intitolato Undeclared Wars with Israel – East Germany and the West German Far Left, 1967–1989 dello storico americano Jeffrey Herf; ora su questo problema c’è anche un saggio di uno storico italiano che lavora a Berlino, Gianluca Falanga: Al di là del Muro – La stasi e il terrorismo, pubblicato dalla casa editrice Nuova Argos di Roma.La ricerca è molto articolata, parte dagli anni Settanta ed entra in tutti i dettagli della collaborazione della Stasi con episodi criminali orribili come la strage degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco del 1972 o i frequenti dirottamenti aerei di quel tempo. La figura centrale di riferimento per la Germania Est (ma anche dei servizi segreti sovietici guidati da Andropov) era Wale Haddad, il numero due del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina guidato da George Habbash: a lui arrivarono armamenti, informazioni, suggerimenti, appoggi logistici, rifugio fino alla sua morte nel 1978. Ma già da qualche anno la collaborazione dei paesi comunisti al terrorismo palestinese si era estesa ad altri movimenti e prima di tutto al Fatah di Arafat.
Lo stesso attuale presidente Abu Mazen risulta, dalle carte portate in Occidente dall’ex archivista del KGB Mitrokhin, essere stato agente dei servizi segreti sovietici. Ma non bisogna pensare, sostiene in maniera convincente Falanga, che i terroristi fossero dei pupazzi inerti che eseguivano solo la politica decisa a Mosca (o a Berlino). Sul piano militare, che è quello ricostruito qui, il rapporto era molto spregiudicato, di sfruttamento reciproco. Spesso i servizi segreti dell’Est indicavano obiettivi e fornivano gli strumenti per il lavoro sporco dei terroristi palestinesi, cercando di indirizzarlo per i loro fini strategici; ma questi agivano anche per conto loro, sfruttando la protezione sovietica per dare sfogo al loro odio antisemita, sapendo di poter contare sulla complicità e la protezione di Stasi, KGB e dei loro mandanti politici, da Breznev in giù. È una storia che se non fosse tragica sarebbe semplicemente disgustosa e che purtroppo ha lasciato tracce ben vive ancora nella politica contemporanea. Anche dopo la caduta dell’Urss e la morte di molti protagonisti, il riflesso condizionato dei comunisti e dei loro eredi è di considerare i terroristi e gli Stati canaglia come preziosi strumenti di “lotta antimperialista”.