La famiglia di Alberto, amico di Primo

Libri

di Anna Balestrieri
Alberto, l’amico di Primo Levi. Nel buio di Auschwitz Monowitz, dove ogni traccia di umanità appare perduta, “Alberto non è diventato un tristo. Ho sempre visto, e ancora vedo in lui, la rara figura dell’uomo forte e mite, contro cui si spuntano le armi della notte”. Alberto Dalla Volta, assieme al padre Guido, di famiglia ebrea mantovana trasferitasi a Brescia negli anni Trenta, vennero deportati da Fossoli assieme a Primo con il trasporto del 22 febbraio 1944.

Guido scomparve con la “selezione” dell’ottobre 1944. Alberto partecipò all’evacuazione di Auschwitz nel gennaio 1945 (la “marcia della morte”) e di lui non si ebbero più notizie. La madre Emma, fortunosamente sfuggita con il figlio Paolo, malato di tifo, al rastrellamento fascista del 1 dicembre 1944, non volle mai accettare l’idea della morte del marito e del figlio. Anche, con il passare degli anni, contro ogni evidenza. Nel contempo tuttavia Emma, con grande determinazione e sacrificio, riprende l’attività imprenditoriale del marito, il Consorzio chimico farmaceutico a Brescia e ricostruisce una vita “normale” per Paolo che subentrerà poi nell’attività.

Per molti anni la tragedia della persecuzione rimase un tabù familiare. Non se ne parlava in famiglia, tanto meno con la moglie di Paolo, Anna e con i figli Guido e Giorgio. Paolo voleva riprendere quella “vita da ariani”, con le frequentazioni e le abitudini della buona borghesia bresciana che erano state della famiglia prima della persecuzione.

Solo negli anni Settanta -Ottanta con l’inasprirsi delle tensioni sociali e politiche e il riemergere dell’antisemitismo, culminato nell’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, Paolo inizia a sentire il bisogno, il dovere di raccontare la vicenda familiare. E ora il figlio Guido racconta in questa bella biografia e saga familiare, romanzata, ma frutto di quattro anni di ricerche, ”le vite da ariani” di tre generazioni di Dalla Volta bresciani. Non parla di Auschwitz, dell’Alberto di Primo Levi consegnato alla nostra memoria dalle pagine superbe di “Se questo è un uomo” e di altri scritti (riportati in appendice). L’ Autore con un flusso narrativo vivace e coinvolgente, con frequenti passaggi tra le diverse stagioni, i diversi momenti della vicenda, narra della vita di una famiglia ebrea italiana a Brescia dagli anni Trenta all’oggi. Dominante la figura di Guido, nonno dell’autore.

Ebreo assimilato, figlio di matrimonio misto, estraneo alla comunità israelitica ed alla pratica religiosa, convinto sostenitore del regime, orgoglioso dell’essere ufficiale del Regio Esercito, teneva sullo scrittoio  la fotografia del Duce e del re Vittorio. Ben inserito nelle relazioni professionali e sociali, membro del Rotary club, amico del questore. Rimane a lungo incredulo come tanti ebrei all’epoca, a differenza della moglie più avvertita, dei crescenti segnali dell’antisemitismo razziale del regime. Ostinatamente fiducioso di poter continuare con la sua famiglia quella vita normale “da ariani” che gli veniva sempre più negata. Si raccontano i tentativi di cancellare con il battesimo la propria storia ebraica per evitare le leggi razziali, in una sorta di “neomarranesimo” molto diffuso in quegli anni tra gli ebrei italiani.

Si narra di delazioni e tradimenti, ma anche di solidarietà e aiuto da parte di amici, sacerdoti, sconosciuti, in un avvincente susseguirsi di speranze, delusioni, svolte drammatiche, resistenza.

Le vicende familiari si svolgono sullo sfondo della storia italiana del Novecento, con i suoi drammi, i suoi momenti oscuri, i suoi riscatti.

Il tentativo ostinato della famiglia, anche dopo la tragedia della Shoah, di condurre “una vita da ariani” si arrende infine alla necessità, al dovere della memoria, della testimonianza della propria storia, che è personale, come afferma l’autore, ma è anche specchio significativo e monito per l’oggi, della vicenda dell’ebraismo.

 

Guido Dalla Volta, Vite da ariani, prefazione di Liliana Segre, Enrico Damiani Editore, pp. 503, euro 23,90