La lunga strada dal Reno al Giordano

Libri

Un libro di Arno Baehr.

Molti di coloro che sono sfuggiti alla Shoà, sopravvivendo nei campi o riuscendo a nascondersi, hanno adempiuto a quel dovere della memoria così insistentemente sottolineato da Elie Wiesel. Le testimonianze sono tante e vanno tutte accolte con rispetto e con commozione. Alcune però ci colpiscono più di altre, per la lucidità dello sguardo, per la chiarezza dell’esposizione o magari perché ci raccontano dei particolari inediti di un ambiente familiare.

È il caso del libro di Arno Baehr, La lunga strada dal Reno al Giordano, pubblicato qualche mese fa da Giuntina (pp.148, € 13). Baehr, bambino ebreo tedesco, fu portato a Milano dal padre con la famiglia nel 1935 per sfuggire alle persecuzioni. Nella nostra città Arno fece prima un anno di elementari tedesche, poi due di scuola pubblica e infine fu obbligato dalle leggi razziali a unirsi con tutti i suoi coetanei ebrei nelle scuole ebraiche di Via Eupili.
Nel ’39 il padre fu arrestato e chiuso in un campo del Sud Italia, per unirsi poi alla brigata ebraica, Arno con la madre e il fratello, respinto dopo un tentativo di fuga in Svizzera, sopravvisse fortunosamente nascondendosi a Milano. Dopo la guerra si unì all’organizzazione giovanile ebraica che preparava per l’alyà e nel novembre 1948 arrivò finalmente in Israele. Qui per quarant’anni partecipò in vari ruoli (viticultore, pastore, insegnante, meccanico, funzionario, cameriere) alla vita dei Kibbutz, fino a uscirne sulla sessantina e reinventarsi un mestiere come traduttore.

Quel che attrae in queste pagine, dalle più tragiche alla più liete, è la lucidità dello sguardo, la capacità di cogliere i dettagli, l’assenza di sentimentalismo, l’autoironia, l’interesse vivo per il contesto, la sincerità autocritica. Non c’è nessuna tentazione di mitizzare l’esperienza, anzi: se ne vedono i limiti, si riconoscono le casualità e gli errori. E pur essendo il racconto rigorosamente una testimonianza in prima persona, senza digressioni politiche o analisi storiche, vi si sente continuamente l’esperienza collettiva, la vicenda storica del popolo ebraico che ostinatamente cerca di sopravvivere al tentativo di distruggerlo e trova in sé le forze per costruire un nuovo Stato e un nuovo modo di essere ebrei.

Se per gli ebrei milanesi risuonano in maniera particolare le pagine che parlano della vita ebraica nella città subito prima della catastrofe e del modo in cui riuscì a sopravvivere in città una famiglia non certo benestante né ricca di appoggi e relazioni, la parte più interessante del libro è quella che racconta degli anni eroici della fondazione di Israele e della vita in kibbutz.

Ho usato l’aggettivo “eroico” perché lo penso, ma non vi è nulla nel racconto di Baehr che miri a dare quest’impressione: le difficoltà della via quotidiana sono raccontate semplicemente e senza enfasi e la durezza dell’impresa di dissodare terre abbandonate accogliendo continuamente nuovi immigrati viene data per scontata. Si leggono i dettagli, quasi senza valutazioni. E perciò ne vien fuori una narrazione estremamente coinvolgente, che proprio per la sua semplicità spiega il successo israeliano.

Semmai emerge gradualmente una critica al sistema dei Kibbutzim, alla loro burocratizzazione, all’ideologia che li dominava, all’insensibilità per le esigenze degli individui e delle famiglie. Pochi oggi si rendono conto che Israele è stato a lungo un paese dalla fortissima impronta socialista e che i Kibbutzim al loro inizio erano un esperimento del tutto radicale di gestione collettiva della vita, inclusa la vita privata e familiare.
Oggi questo radicalismo ha perso quasi tutto il suo peso nell’economia israeliana e si è ridimensionato anche all’interno dei Kibbutzim, lasciando più spazio alla privacy e alla determinazione individuale. Ma esso è ancora una radice importante della società israeliana, e in genere ci si riflette troppo poco. Il libro di Baehr è utile anche a riflettere su queste cose. Ma lo fa con una leggerezza e una concretezza di scrittura che rendono piacevolissimo leggerlo. I pensieri arrivano dopo la curiosità per il destino delle persone, come dev’essere una storia vera.


Arno Baehr, La lunga strada dal Reno al Giordano, Giuntina, pp.148, € 13.