di Nathan Greppi
In genere non tutti coloro che sono sopravvissuti alla Shoah rielaborano il ricordo allo stesso modo: c’è chi ne parla da sempre per tramandare la memoria, chi non ha mai voluto farlo e si è portato dei segreti nella tomba, e chi ha parlato ma solo dopo molti anni. Alla terza categoria appartiene Fred Sedel (1909 – 1991), un medico francese di religione ebraica che riuscì a sopravvivere a ben sette campi di concentramento.
Questi nel 1963 raccontò ciò che aveva passato pubblicando il diario Abitare le tenebre, con l’obiettivo dichiarato di opporsi alla falsificazione storica di chi nega o banalizza ciò che è successo. Le vicende narrate iniziano il 9 luglio 1943: quel giorno, mentre si nascondeva con la famiglia e si manteneva continuando a visitare di nascosto i suoi pazienti, viene notato da due gendarmi tedeschi e si consegna a loro illudendosi di poterli ingannare.
Questo suo errore di valutazione diede inizio a un supplizio durato 22 mesi; iniziando nel campo di concentramento di Drancy, dove conobbe per la prima volta le condizioni di vita degli internati, fu spostato in altri campi, dove sopravvisse lavorando come medico. Tutto questo fino all’aprile 1945, quando riuscì a evadere da un treno tedesco per essere salvato dagli americani e tornare in Francia dalla moglie, che durante la sua assenza diede alla luce il primo dei loro tre figli. Il diario, che nell’edizione italiana viene introdotto da una prefazione di Liliana Segre, riesce a trasmettere al lettore le emozioni provate dall’autore in quei momenti: angoscia, disperazione, paura, e infine il sollievo per la fine di un incubo e il ritorno alla vita di prima. Sul piano emotivo, descrive bene l’insicurezza che lo coglie nei momenti cruciali e il rimpianto per aver preso decisioni ritenute sbagliate. Infine, il ritorno alla vita e la costruzione di una famiglia numerosa, un segno di speranza: dopo la notte dell’umanità, l’aurora del mattino.
Fred Sedel, Abitare le tenebre, l’Ornitorinco, pp. 240, 15,00 euro